lunedì, marzo 27, 2023

Nuova puntata della saga relativa alla richiesta di consegna di Vincenzo VECCHI

 Importante vittoria della difesa nella vicenda ormai annosa della richiesta di consegna da parte delle Autorità italiane di Vincenzo VECCHI, condannato per i fatti del G8 di Genova ad una pena assai consistente a dispetto dello scarso gradi di partecipazione agli eventi.

Dopo la tappa alla Corte di giustizia dell'Unione europea ed al rinvio della Cassazione francese è stata la volta della Corte di appello Di Lione.

La Corte si è pronunciata nel senso di rifiutare la cosegna all'Italia in ragione di due motivi che sono stati ampiamente articolati nella deicisione che si pubblica:

Innanzitutto la prescrizione della pena e in secondo luogo per violazione art. 8 CEDU.

https://drive.google.com/file/d/1MZUeCoexwMcnnycsn-lKr9X53D2ITusy/view?usp=sharing 


martedì, maggio 11, 2021

Tabulati telefonici. Il Tribunale di Rieti rimette gli atti alla CGUE. L'ordinanza presenta alcune problematicità dal punto di vista UE e probabilmente "chiede troppo" alla Corte UE.

 

Il Tribunale penale di Rieti, con ordinanza del 4 maggio 2021, ha sollevato domanda di pronuncia pregiudiziale della Corte di Giustizia dell’Unione europea in relazione ai conseguenti dubbi applicativi della sentenza 2 marzo 2021, nella causa C 746/18, emessa dalla stessa Corte in materia di acquisizione dei tabulati telefonici e individuazione dell’organo competente ad autorizzare tali operazioni.
Nella citata sentenza infatti la CGUE aveva dichiarato in contrasto con il diritto dell’Unione europea la normativa estone in quanto, al pari di quella italiana, permette la conservazione generalizzata e indifferenziata dei dati relativi al traffico telefonico e informatico, nonché dei dati relativi all’ubicazione, e la necessità che l’acquisizione di tali dati sia autorizzata da un’autorità indipendente o di un giudice terzo e imparziale.
 
I principi espressi dalla Corte di Giustizia stanno dando origine a una serie “contrasti interpretativi” che si ripercuotono in prima battuta sui procedimenti in corso.
«Ritiene il Giudice remittente che alla luce dei profili di “criticità applicativa” dei princìpi elaborati dalla CGUE nella sentenza del 2 marzo 2021», si legge nell’ordinanza, «tali principi non possano costituire presupposto per una diretta disapplicazione della normativa nazionale in ipotesi contrastante: ma debba essere sollecitato un espresso chiarimento da parte del Giudice Europeo in punto di efficacia della predetta sentenza interpretativa, in primo luogo valutando la possibilità di ritenere che il P.M. per come disegnato dall’ordinamento italiano offra sufficienti garanzie di giurisdizionalità, per continuare ad essere titolare in proprio di tale potere di acquisizione, considerando anche il vaglio
comunque rimesso ex post al giudice che deve emettere la decisione; ovvero di modulare gli effetti della sentenza in chiave irretroattiva, al fine di non pregiudicare fondamentali esigenze di certezza del diritto e “certezza investigativa”, limitatamente ai giudizi tuttora pendenti, in chiave di prevenzione e repressione di gravi reati, nell’ottica anche di consentire un possibile e auspicabile intervento del legislatore nazionale in materia senza che si realizzino ingiustificate disparità di trattamento con altri istituti della legislazione nazionale, ad esempio in tema di intercettazioni telefoniche».
 
Sono dunque sottoposte alla Corte di giustizia dell'Unione europea le seguenti questioni pregiudiziali:
 
1) se l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58, letto alla luce degli articoli 7, 8 e 11 nonché dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta di Nizza, in forza anche dei princìpi stabiliti dalla stessa CGUE nella sentenza del 2 marzo 2021 nella causa C13 746/18, debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, prevista dall’art. 132, comma 3 del decreto legislativo n. 196/2003, la quale renda il pubblico ministero, organo dotato di piene e totali garanzie di indipendenza e autonomia come previsto dalle norme del Titolo IV della Costituzione italiana, competente a disporre, mediante decreto motivato, l’acquisizione dei dati relativi al traffico e dei dati relativi all’ubicazione ai fini di un’istruttoria penale.
 
2) Nel caso in cui alla prima domanda sia data risposta negativa, se sia possibile fornire ulteriori chiarimenti interpretativi riguardanti una eventuale applicazione irretroattiva dei princìpi stabiliti nella sentenza del 2 marzo 2021, causa C-746/18, tenuto conto delle preminenti esigenze di certezza del diritto nell’ambito della prevenzione, accertamento e contrasto di gravi forme di criminalità o minacce alla sicurezza;
 
3) Se l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58, letto alla luce degli articoli 7, 8 e 11 nonché dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta di Nizza, in forza anche dei princìpi stabiliti dalla stessa CGUE nella sentenza del 2 marzo 2021 nella causa C-746/18, debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, prevista dall’art. 132, comma 3 del decreto legislativo n. 196/2003, letto alla luce dell’art. 267, comma 2, Codice di procedura penale, la quale consenta al Pubblico Ministero, in casi di urgenza, l’immediata acquisizione dei dati del traffico telefonico con successivo vaglio e controllo del Giudice procedente.

lunedì, marzo 08, 2021

La Corte di giustizia interviene sulla acquisibilità dei tabulati. O della privacy presa sul serio.

 

La Corte di giustizia interviene sulla acquisibilità dei tabulati. 

O della privacy presa sul serio.

 

Lo scorso 2 marzo la Corte di giustizia dell’Unione europea nella sua massima composizione (Grande camera), in causa C-746/18, ha emesso una sentenza dal sicuro impatto anche per il diritto interno e nel caso di specie per il processo penale.

Chiamata a pronunciarsi sulla base di un rinvio pregiudiziale della Corte suprema estone la Corte di giustizia ha ribadito la sua precedente giurisprudenza chiarendola per quanto riguarda gli effetti anche nell’ambito del processo penale.

La questione è relativa possibilità di acquisire nel processo penale tabulati relativi a dati idonei a fornire informazioni sulle comunicazioni effettuate da un utente o sulla ubicazione delle apparecchiature terminali utilizzate allorquando tali informazioni consentano anche di trarre precise conclusioni sulla vita privata senza che tale possibilità sia circoscritta a forme gravi di criminalità.

Di conseguenza si pone un limite oggettivo alla acquisibilità di tabulati relativi a comunicazioni elettroniche e si provvede inoltre a individuare anche un limite soggettivo quanto alla autorità alla quale un tale accesso alle informazioni è consentito.

Secondo la Corte “L’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche (direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche), come modificata dalla direttiva 2009/136/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009, letto alla luce degli articoli 7, 8 e 11 nonché dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale, la quale consenta l’accesso di autorità pubbliche ad un insieme di dati relativi al traffico o di dati relativi all’ubicazione, idonei a fornire informazioni sulle comunicazioni effettuate da un utente di un mezzo di comunicazione elettronica o sull’ubicazione delle apparecchiature terminali da costui utilizzate e a permettere di trarre precise conclusioni sulla sua vita privata, per finalità di prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento di reati, senza che tale accesso sia circoscritto a procedure aventi per scopo la lotta contro le forme gravi di criminalità o la prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica, e ciò indipendentemente dalla durata del periodo per il quale l’accesso ai dati suddetti viene richiesto, nonché dalla quantità o dalla natura dei dati disponibili per tale periodo.

Ma non solo. La Corte ha modo di pronunciarsi anche su quale sia l’Autorità nazionale che possa autorizzare l’accesso alle banche dati dei gestori del traffico telefonico ed elettronico in senso lato; secondo la Corte:

L’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58, come modificata dalla direttiva 2009/136, letto alla luce degli articoli 7, 8 e 11 nonché dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali, deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale, la quale renda il pubblico ministero, il cui compito è di dirigere il procedimento istruttorio penale e di esercitare, eventualmente, l’azione penale in un successivo procedimento, competente ad autorizzare l’accesso di un’autorità pubblica ai dati relativi al traffico e ai dati relativi all’ubicazione ai fini di un’istruttoria penale”.

 

Si impone a questo punto, e nonostante i ripetuti interventi della Cassazione che hanno inteso ritenere la disciplina italiana compatibile con il diritto UE, la revisione della disciplina italiana, ponendosi al contempo un serio problema quanto alla utilizzabilità dei dati, acquisiti nei procedimenti penali d’iniziativa del Pubblico ministero per fatti diversi da condotte integranti forme gravi di criminalità o che determinino gravi minaccia alla sicurezza pubblica.

giovedì, settembre 24, 2020

Diritto dell'Unione europea e interdittive antimafia: inammissibile il rinvio pregiudiziale del Tar Puglia

 

La Corte di Giustizia dichiara irricevibile la domanda di pronunzia pregiudiziale sollevata dal TAR Puglia (Bari) in materia di interdittiva antimafia.
Purtroppo il Tribunale pugliese ha errato nel formulare il quesito pregiudiziale enon ha individuato alcun punto di collegamento cona la disciplina dell'Unione europea.
 

 
 
Di seguito l'Ordinanza:
 
 
ORDINANZA DELLA CORTE (Nona Sezione)
 
28 maggio 2020 (*)
 
«Rinvio pregiudiziale – Articolo 53, paragrafo 2, e articolo 94 del regolamento di procedura della Corte – Irricevibilità manifesta – Principi generali di diritto dell’Unione europea – Diritto a una buona amministrazione – Diritti della difesa – Diritto di essere ascoltato – Atto adottato dalla prefettura inteso al divieto dell’attività in ragione di una presunta infiltrazione mafiosa – Normativa che non prevede un procedimento amministrativo in contraddittorio»
 
Nella causa C‑17/20,
 
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia (Italia), con ordinanza del 27 novembre 2019, pervenuta in cancelleria il 14 gennaio 2020, nel procedimento
MC
contro
Ufficio territoriale del governo (U.T.G.) – Prefettura di Foggia,
LA CORTE (Nona Sezione),
composta da S. Rodin, presidente di sezione, D. Šváby (relatore) e K. Jürimäe, giudici,
avvocato generale: J. Kokott
cancelliere: A. Calot Escobar
vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di statuire con ordinanza motivata, ai sensi dell’articolo 53, paragrafo 2, del regolamento di procedura della Corte,
ha emesso la seguente
Ordinanza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») e del principio generale del diritto dell’Unione a un procedimento in contraddittorio.
2 Tale domanda è stata presentata nel contesto di una controversia tra la MC e l’Ufficio territoriale del governo (U.T.G.) – Prefettura di Foggia (in prosieguo: la «prefettura di Foggia») con riguardo all’adozione, da parte di quest’ultima, il 9 giugno 2017, di un’informazione antimafia interdittiva.
Contesto normativo
Diritto dell’Unione
3 L’articolo 94 del regolamento di procedura della Corte, intitolato «Contenuto della domanda di pronuncia pregiudiziale», dispone quanto segue:
«Oltre al testo delle questioni sottoposte alla Corte in via pregiudiziale, la domanda di pronuncia pregiudiziale contiene:
a) un’illustrazione sommaria dell’oggetto della controversia nonché dei fatti rilevanti, quali accertati dal giudice del rinvio o, quanto meno, un’illustrazione delle circostanze di fatto sulle quali si basano le questioni;
b) il contenuto delle norme nazionali applicabili alla fattispecie e, se del caso, la giurisprudenza nazionale in materia;
c) l’illustrazione dei motivi che hanno indotto il giudice del rinvio a interrogarsi sull’interpretazione o sulla validità di determinate disposizioni del diritto dell’Unione, nonché il collegamento che esso stabilisce tra dette disposizioni e la normativa nazionale applicabile alla causa principale».
Diritto italiano
4 L’articolo 84 del decreto legislativo del 6 settembre 2011, n. 159 – Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136 (Supplemento ordinario alla GURI n. 226, del 28 settembre 2011), nella versione applicabile al procedimento principale (in prosieguo: il «codice antimafia»), al comma 3, dispone quanto segue:
«L’informazione antimafia consiste nell’attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’articolo 67, nonché, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 91, comma 6, nell’attestazione della sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate indicati nel comma 4».
5 A termini dell’articolo 90, comma 1, di detto codice, l’informazione antimafia è conseguita mediante consultazione, da parte della prefettura competente, della banca dati nazionale specifica.
6 Ai sensi dell’articolo 92, comma 2, del codice antimafia, un’informazione interdittiva è rilasciata quando dalla consultazione della banca dati nazionale unica emerge la sussistenza di cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’articolo 67 del codice medesimo o di un tentativo di infiltrazione mafiosa di cui all’articolo 84, comma 4, di detto codice, fermo restando quanto previsto dall’articolo 91, comma 6, dello stesso codice.
7 Se dalla consultazione della banca dati nazionale emerge l’esistenza delle cause previste dall’articolo 84, comma 4, del codice antimafia, un’informazione interdittiva in ragione di un tentativo di infiltrazione mafiosa è comunicata all’impresa interessata ai sensi dell’articolo 92, comma 2 bis, di detto codice. I pubblici poteri revocano le concessioni o recedono dai contratti di lavori o servizi in corso con l’impresa.
Procedimento principale e questione pregiudiziale
8 Su domanda di un Comune italiano, la prefettura di Foggia ha avviato, ai sensi dell’articolo 91 del codice antimafia, un’indagine sulla MC, società che esercita un’attività edile.
9 Dal momento che da tale indagine sono risultati elementi oggettivi costitutivi di un insieme di indizi della presenza di possibili casi di infiltrazione mafiosa, volti a condizionare le scelte e gli indirizzi dell’attività imprenditoriale svolta dalla società di cui trattasi, la prefettura di Foggia ha adottato, il 9 giugno 2017, un’informazione antimafia interdittiva nei confronti di detta società, che le è stata comunicata il 14 giugno 2017.
10 Il Comune che aveva sollecitato l’avvio delle indagini, fondandosi su tale informazione, ha avviato un procedimento di revoca della concessione di un terreno utilizzato dalla MC per lo svolgimento della sua attività di estrazione, lavorazione e commercializzazione di sabbia, pietre, marmi e materiali di risulta provenienti da una cava a cielo aperto.
11 La MC ha presentato dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia (Italia) un ricorso per l’annullamento del provvedimento oggetto del procedimento principale.
12 Detto giudice rileva che l’adozione di tale informazione non è stata preceduta da un contraddittorio tra l’amministrazione prefettizia e la MC, pur essendo sfociata nel divieto di esercizio dell’attività da parte della MC, sul fondamento di una presunzione di infiltrazione della mafia in detta società, che può risultare anche da semplici indizi, presunzioni o inferenze argomentative.
13 Risulterebbe dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (Italia), segnatamente da una sentenza pronunciata in seduta plenaria, il 6 aprile 2018, che un’informazione antimafia costituisce una misura cautelare di polizia, preventiva e interdittiva, che si aggiunge alle misure di prevenzione antimafia di natura giurisdizionale e che è intesa ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alla criminalità organizzata.
14 Il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia contesta tuttavia tale interpretazione in base al rilievo secondo cui un’informazione antimafia interdittiva comporta la dissoluzione del rapporto giuridico tra l’impresa interessata e la pubblica amministrazione. Tale atto avrebbe pertanto conseguenze durevoli, se non addirittura permanenti, indelebili e inemendabili, dal momento che sfocerebbe nel ritiro di un titolo pubblico, nel recesso o nella risoluzione di un contratto. Secondo il giudice del rinvio, un tale atto ha l’effetto di escludere definitivamente l’impresa e l’imprenditore interessati dal circuito economico dei rapporti con la pubblica amministrazione.
15 Orbene, nonostante le conseguenze particolarmente pesanti per l’impresa interessata da tale atto, quest’ultima non partecipa al procedimento che conduce alla sua adozione. In un procedimento come quello di cui trattasi nel procedimento principale, l’eventualità che si instauri un contraddittorio dipenderebbe dalla valutazione discrezionale del prefetto competente, alla luce delle proprie esigenze istruttorie.
16 Secondo il giudice del rinvio, un contraddittorio sarebbe necessario per consentire all’impresa interessata di tutelare la sua situazione giuridica, salvo violare il principio del contraddittorio che è garantito dall’articolo 41 della Carta e che costituisce un principio generale del diritto dell’Unione ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 3, TUE.
17 Ne conseguirebbe che un’impresa dovrebbe poter fornire al prefetto prove e argomenti convincenti per ottenere un’informazione liberatoria, nonostante l’esistenza di elementi o di indizi sfavorevoli, mentre sarebbe più difficile che il giudice amministrativo sostituisse il proprio convincimento a quello del prefetto, una volta che quest’ultimo avesse adottato una informazione interdittiva antimafia.
18 In tale contesto, il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«[S]e gli articoli 91, 92 e 93 del [codice antimafia], nella parte in cui non prevedono il contraddittorio endoprocedimentale in favore del soggetto nei cui riguardi l’Amministrazione si propone di rilasciare una informativa antimafia interdittiva, siano compatibili con il principio del contraddittorio, così come ricostruito e riconosciuto quale principio di diritto dell’Unione».
Sulla questione pregiudiziale
19 Ai sensi dell’articolo 53, paragrafo 2, del regolamento di procedura, quando una domanda di pronuncia pregiudiziale è manifestamente irricevibile, la Corte, sentito l’avvocato generale, può statuire in qualsiasi momento con ordinanza motivata, senza proseguire il procedimento.
20 Tale disposizione deve essere applicata nella presente causa.
21 Secondo giurisprudenza costante della Corte, il procedimento istituito dall’articolo 267 TFUE costituisce uno strumento di cooperazione fra la Corte ed i giudici nazionali, per mezzo del quale la prima fornisce ai secondi gli elementi di interpretazione del diritto dell’Unione che sono loro necessari per la soluzione delle controversie che sono chiamati a dirimere (v., segnatamente, sentenza del 27 novembre 2012, Pringle, C‑370/12, EU:C:2012:756, punto 83, nonché ordinanza dell’8 settembre 2016, Google Ireland e Google Italy, C‑322/15, EU:C:2016:672, punto 14).
22 I requisiti concernenti il contenuto di una domanda di pronuncia pregiudiziale figurano in modo esplicito nell’articolo 94 del regolamento di procedura, che il giudice del rinvio, nel quadro della cooperazione prevista all’articolo 267 TFUE, deve conoscere e osservare scrupolosamente (ordinanze del 3 luglio 2014, Talasca, C‑19/14, EU:C:2014:2049, punto 21, nonché dell’8 settembre 2016, Google Ireland e Google Italy, C‑322/15, EU:C:2016:672, punto 15).
23 Tali requisiti sono inoltre richiamati ai punti 13 e 15 delle raccomandazioni della Corte all’attenzione dei giudici nazionali, relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale (GU 2019, C 380, pag. 1).
24 Pur essendo destinate a permettere ai governi degli Stati membri e alle altre parti interessate di presentare osservazioni ai sensi dell’articolo 23 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, le informazioni che devono essere contenute nella decisione di rinvio hanno anche la funzione di consentire alla Corte, da un lato, di verificare la ricevibilità di tale domanda e, dall’altro, di fornire risposte utili alle questioni sollevate dal giudice del rinvio.
25 Poiché la domanda di pronuncia pregiudiziale funge da fondamento per il procedimento dinanzi alla Corte, è indispensabile che in tale domanda il giudice nazionale chiarisca, in particolare, il contesto di fatto e di diritto del procedimento principale. Tale obbligo deve essere osservato, in particolare, in taluni settori, caratterizzati da situazioni di diritto e di fatto complesse (v., segnatamente, sentenza del 26 gennaio 1993, Telemarsicabruzzo e a., da C‑320/90 a C‑322/90, EU:C:1993:26, punti 6 e 7; ordinanza del 19 marzo 1993, Banchero, C‑157/92, EU:C:1993:107, punti 4 e 5; sentenza del 12 dicembre 2013, Ragn-Sells, C‑292/12, EU:C:2013:820, punto 39, nonché ordinanza del 25 aprile 2018, Secretaria Regional de Saúde dos Açores, C‑102/17, EU:C:2018:294, punti 28 e 29).
26 Nel caso di specie, la questione posta verte, in sostanza, sull’interpretazione del principio di buona amministrazione.
27 Infatti, anche se la decisione di rinvio si riferisce all’articolo 41 della Carta, occorre rilevare che risulta chiaramente dal tenore di questa disposizione che essa si rivolge non agli Stati membri, bensì unicamente alle istituzioni, agli organi e agli organismi dell’Unione europea (sentenze del 17 luglio 2014, YS e a., C‑141/12 e C‑372/12, EU:C:2014:2081, punto 67; dell’8 maggio 2019, PI, C‑230/18, EU:C:2019:383, punto 56, nonché del 26 marzo 2020, Hungeod e a., C‑496/18 e C‑497/18, EU:C:2020:240, punto 63).
28 Tuttavia, anche a voler ritenere che il giudice del rinvio intenda interrogare la Corte in ordine al principio del rispetto dei diritti della difesa, occorre ricordare che quest’ultimo costituisce un principio generale del diritto dell’Unione che trova applicazione quando l’amministrazione intende adottare nei confronti di una persona un atto che le arrechi pregiudizio. In forza di tale principio i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la sua decisione. Tale obbligo incombe sulle amministrazioni degli Stati membri ogniqualvolta esse adottano decisioni che rientrano nella sfera d’applicazione del diritto dell’Unione, quand’anche la normativa dell’Unione applicabile non preveda espressamente siffatta formalità (sentenza del 22 ottobre 2013, Sabou, C‑276/12, EU:C:2013:678, punto 38).
29 Tuttavia, nella presente causa, il giudice del rinvio non ha dimostrato l’esistenza di un criterio di collegamento tra, da un lato, il diritto dell’Unione e, dall’altro, l’informazione antimafia interdittiva adottata dalla prefettura di Foggia o la decisione del Comune, che ha dato origine all’indagine sfociata nell’adozione di tale informazione, di revocare la concessione di un terreno utilizzato dalla MC per lo svolgimento della sua attività economica.
30 Non sembra pertanto che la normativa oggetto del procedimento principale possa ricadere nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione o attuarlo.
31 Ne consegue che la domanda di pronuncia pregiudiziale non soddisfa i requisiti di cui all’articolo 94 del regolamento di procedura e che deve pertanto essere dichiarata manifestamente irricevibile.
32 Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, si deve dichiarare, in applicazione dell’articolo 53, paragrafo 2, del regolamento di procedura, che la presente domanda di pronuncia pregiudiziale è manifestamente irricevibile.
Sulle spese
33 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese.
Per questi motivi, la Corte (Nona Sezione) dichiara:
La domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia (Italia), con ordinanza del 27 novembre 2019, è manifestamente irricevibile.

giovedì, giugno 18, 2020

La Corte di giustizia UE sulla nozione di rilevante quantità in materia di droghe

La Corte di giustizia UE, nella causa C‑634/18, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Sąd Rejonowy w Słupsku (Tribunale circondariale di Słupsk, Polonia), nell'ambito di un procedimento penale ha stabilito che

l’articolo 4, paragrafo 2, lettera a), della decisione quadro 2004/757/GAI del Consiglio, del 25 ottobre 2004, riguardante la fissazione di norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati e alle sanzioni applicabili in materia di traffico illecito di stupefacenti, in combinato disposto con l’articolo 2, paragrafo 1, lettera c), di quest’ultima, nonché gli articoli 20, 21 e 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a che uno Stato membro qualifichi come reato la detenzione di un rilevante quantitativo di prodotti stupefacenti o di sostanze psicotrope, sia a fini di consumo personale sia a fini di traffico di stupefacenti, rimettendo, volta per volta, l’interpretazione della nozione di «rilevante quantitativo di prodotti stupefacenti o di sostanze psicotrope» alla valutazione dei giudici nazionali, purché detta interpretazione sia ragionevolmente prevedibile.

La Corte dunque ribadisce una nozione di legalità penale compatibile con l'integrazione della definizione legale da parte della giurisdizione a patto però che l'interpretazione giurisprudenzziale sia corerente con il criterio della prevedibilità sulla base della nozione di legalità ribadita dalla Corte europea dei diritti dell'uomo e fatta propria in più pronunce dalla stessa Corte di giustizia dell'Unione Europea.

La Corte nell'occasione ha ricordato il carattere delle disposizioni UE in materia di armonizzazione delle fattispecie penale che costituiscono un minimo comun denominatore che comunque lascia ampi margini alla disciplina nazionale, stabilendo conseguentemente anche la compatibilità delle norme nazionali allorquando non prevedono in maniera tassativa e determinata la specificazione di nozioni naturalmente flessibili quale quella di "rilevante quantità", la cui integrazione è dunque demandata alla giurisprudenza a patto che questa consenta una piena prevedibilità della reazione dell'ordinamento e dunque fornisca elementi utili ad una ragionevole prevedibilità della interpretazione della nozione normativa.

In una delle rare pronunce della Corte in materia di diritto penale sostanziale era forse lecito attendersi qualche passo ulteriore in tema di definizione della legalità penale magari andando possibilmente al di là della mera prevedibilità che certo non esaurisce la funzione e la stessa nozione costituzionale del principio di legalità penale, semmai riprendendo le aperture già presenti in alcune sue precedenti pronunce a partire da M.A.S. and M.B. in causa C-42/17.

venerdì, aprile 01, 2016

Frodi IVA: la Cassazione si schiera contro la disapplicazione delle norme interne di favore

La Terza sezione penale della Corte di Cassazione, con due decisioni di identico contenuto, assunte consecutivamente alle udienze del 30 e del 31 marzo, ha deciso di sollevare la questione di costituzionalità dell’art. 2, legge n. 130/2008, che ordina l’esecuzione del Trattato sul funzionamento dell’UE, come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona, nella parte che impone di applicare la disposizione da cui - nell’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza Taricco - discende l’obbligo per il giudice nazionale di disapplicare gli articoli 160, comma 3, e 161, comma 2, del Codice penale, in presenza delle circostanze indicate nella sentenza, allorquando ne derivi la sistematica impunità delle gravi frodi in materia di IVA, anche se dalla disapplicazione, e dal conseguente prolungamento del termine di prescrizione, discendano effetti sfavorevoli per l’imputato, per contrasto di tale norma con gli articoli 3, 11, 25, comma 2, 27, comma 3, 101, comma 2, Cost.
Le decisioni della Cassazione, adottate alle udienze del 30 e del 31 marzo 2016, sono state chiamate ad affrontare la questione “se, dall’applicazione dell’art. 325, § 1 e 2, TFUE, nell’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia, 08/09/2015, causa C- 105/14, Taricco, discenda l’obbligo per il giudice nazionale di disapplicare gli articoli 160, comma 3, e 161, comma 2, c.p., in presenza delle circostanze indicate nella sentenza, allorquando ne derivi la sistematica impunità delle gravi frodi in materia di IVA, nonostante dal conseguente prolungamento del termine di prescrizione discendano effetti sfavorevoli per l’imputato”.

martedì, marzo 29, 2016

Processo penale: per la CGUE legittimo imporre l'utilizzo di una lingua e la nomina di un domiciliatario

Sentenza della Corte di Giustizia nella causa  C‑216/14
 
Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:
 
1)      Gli articoli da 1 a 3 della direttiva 2010/64/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 ottobre 2010, sul diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali, devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, la quale, nell’ambito di un procedimento penale, non consenta alla persona, nei cui confronti sia stato emesso decreto penale di condanna, di proporre opposizione per iscritto avverso il decreto stesso in una lingua diversa da quella del procedimento, sebbene tale persona non padroneggi quest’ultima lingua, a condizione che le autorità competenti non ritengano, conformemente all’articolo 3, paragrafo 3, di tale direttiva, che, alla luce del procedimento di cui trattasi e delle circostanze del caso di specie, detta opposizione costituisca un documento fondamentale.
2)      Gli articoli 2, 3, paragrafo 1, lettera c), e 6, paragrafi 1 e 3, della direttiva 2012/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2012, sul diritto all’informazione nei procedimenti penali, devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale di uno Stato membro, come quella oggetto del procedimento principale, la quale, nell’ambito di un procedimento penale, imponga all’imputato non residente in tale Stato membro di nominare un domiciliatario ai fini della notifica di un decreto penale di condanna emesso nei suoi confronti, purché tale persona benefici effettivamente in toto del termine stabilito per proporre opposizione avverso il decreto stesso.