CGCE, responsabilità civile dei magistrati e la posizione del Governo
Interrogato sulla questione relativa alla riforma della norma interna sulla responsabilità civile dei magistrati (atto n. 5/00638), a seguito della censura operata dalla Corte di giustizia nella nota sentenza (già segnalata da questo sito) "Traghetti del Mediterraneo", il Ministero della giustizia (ed i magistrati-funzionari che vi lavorano) offrono una risposta abbastanza sorprendente, per chi non conosce la cultura giuridica nazionale, un vaniloquio presuntamente dotto che tenta essenzialmente di sottrarsi al problema, dimostrando tra l'altro anche una scarsa conoscenza del diritto comunitario.
Gli estensori dell'intervento ministeriale non hanno evidentemente letto correttamente né la sentenza citata, che richiama direttamente l'applicazione della legge 117 dell'88, né la stessa legge 117 dell'88 che pure riguarda, come previsto dallo stesso art. 2, una ipotesi di responsabilità dello Stato per atti dei suoi funzionari, quali sono i magistrati appunto.
In entrambi i casi si tratta dunque di applicazione della responsabilità aquiliana per danni cagionati da una attività umana. Il risultato di tutto ciò non sarà altro che determinare un interessamento della Commissione europea in una materia che nel nostro paese pare non possa essere affrontata con ragionevolezza e serenità.
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TESTO DELLA RISPOSTA
Con l'atto dì sindacato ispettivo in discussione gli interroganti segnalano che a seguito della sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 12 giugno 2006, C-173-03, costituirebbe violazione del diritto comunitario omettere di procedere ad una revisione della legge 13 aprile 1988 n. 117, cosiddetto Vassalli, sulla responsabilità civile dei magistrati. Tale sentenza, infatti, avrebbe statuito che «il diritto comunitario osta a una normativa nazionale che escluda la responsabilità dello Stato membro per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto comunitario imputabile a un organo giurisdizionale di ultimo grado, per il motivo che la violazione controversa risulta da un'interpretazione delle norme giuridiche o da una valutazione dei fatti e delle prove operate da tale organo giurisdizionale». In particolare, nell'interrogazione si prospetta che sarebbe inopponibile l'attuale limite del dolo o colpa grave posto all'azione di rivalsa dello Stato nei confronti dei magistrati. Senza volersi in questo momento soffermare sulle valutazioni di carattere politico relative all'iniziativa legislativa eventualmente da assumere sul punto, sotto il profilo tecnico si rileva che la decisione del giudice comunitario e la disciplina interna richiamata si pongono su piani del tutto differenti. La questione pregiudiziale posta all'attenzione della Corte aveva ad oggetto la compatibilità della legge 13 aprile 1988 n. 117 con il principio di responsabilità comunitaria dello Stato, nella parte in cui esclude che possa dare luogo a responsabilità l'attività d'interpretazione di norme di diritto o di valutazione del fatto e delle prove, nonché nella parte in cui limita detta responsabilità ai casi di dolo o colpa grave del magistrato (articolo 2). Mentre sotto il primo profilo il principio di responsabilità entrerebbe in contraddizione con la funzione giurisdizionale, e cioè con il principio di indipendenza del giudice, sotto il secondo profilo il contrasto si porrebbe con il limite introdotto dal legislatore in funzione di bilanciamento fra responsabilità civile e peculiarità della funzione giurisdizionale. Il Collegio dell'Unione trova la soluzione attraverso il riferimento alla nozione di violazione manifesta del diritto comunitario: le attività proprie della funzione giudiziaria ed i limiti introdotti dal legislatore nazionale alla responsabilità civile dei magistrati - dice la sentenza - non hanno rilievo se conducono ad una violazione manifesta del diritto comunitario. Il piano della responsabilità civile del magistrato è, quindi, completamente differente da quello della responsabilità dello Stato, tanto che eguale responsabilità lo Stato avrà per l'ipotesi in cui il giudice abbia fatto esatta applicazione delle norme di diritto interno che siano, però, in conflitto manifesto con il diritto dell'Unione. L'illecito comunitario, cioè, non è un illecito giudiziario - come è stato rilevato negli studi che hanno commentato la decisione della Corte di giustizia - ma un illecito dello Stato. E l'attività d'interpretazione ed applicazione di norme non
rappresenta un ostacolo, perché la responsabilità non è di diritto interno, ma di diritto comunitario. Infatti, nel caso Brasserie du pécheur-Factortame esaminato dalla decisione della Corte di giustizia del 5 marzo 1996, cause riunite C-46 e C-48/93, il principio della responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario è affermato con riferimento ad ogni organo dello Stato membro che abbia dato origine alla trasgressione. Lo Stato, così come accade nell'ordinamento giuridico internazionale, è infatti considerato nella sua unità, senza che rilevi la circostanza che la violazione da cui ha avuto origine il danno sia imputabile al potere legislativo, giudiziario o esecutivo. Le peculiarità dell'organo, ai fini della responsabilità civile, rilevano solo dal punto di vista dell'illecito di diritto interno, in quanto in questo caso la responsabilità è riconducibile, appunto, allo specifico organo. Nel caso dell'illecito comunitario tale limite non ha ragion d'essere in quanto, considerato «dall'esterno», lo Stato rileva come unità e, si ripete, quale sia l'organo agente è circostanza irrilevante per il diritto comunitario. Mentre, dunque, dal punto di vista della responsabilità di diritto interno le peculiarità della funzione possono costituire un limite alla responsabilità stessa, dal punto di vista dell'illecito comunitario restano irrilevanti, posto che soggetto agente si intende non l'organo ma lo Stato. L'illecito, si è detto, è dello Stato e non del giudice. Nel caso di responsabilità dello Stato per violazione comunitaria derivante da provvedimento giurisdizionale non trova applicazione, quindi, la legge n. 117 del 1988, perché la fattispecie non è di illecito giudiziario, ma di illecito dello Stato in senso proprio. Il problema, cioè, non è di difformità della legge italiana (sulla responsabilità civile dei magistrati) rispetto all'ordinamento comunitario, ma di mancanza dei presupposti di applicabilità della normativa in discorso. Da tali premesse discende, pertanto, che la normativa posta dalla legge n. 117 del 1988, come rilevato anche dalla dottrina, non è in contrasto con la decisione della Corte di giustizia richiamata nell'interrogazione. Ciò chiarito in ordine alla prima questione sollevata nell'atto di sindacato ispettivo si fa presente, peraltro, con riferimento all'ulteriore quesito formulato dagli Onorevoli interroganti, che la riforma della responsabilità civile dei magistrati costituisce uno degli obiettivi del Ministero della Giustizia e la sua elaborazione sarà avviata all'esito del varo della riforma del codice di procedura civile - già approvata dalla Camera dei Deputati il 1o Ottobre 2008 ed ora all'esame delle Commissioni Giustizia e Affari costituzionali del Senato.
rappresenta un ostacolo, perché la responsabilità non è di diritto interno, ma di diritto comunitario. Infatti, nel caso Brasserie du pécheur-Factortame esaminato dalla decisione della Corte di giustizia del 5 marzo 1996, cause riunite C-46 e C-48/93, il principio della responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario è affermato con riferimento ad ogni organo dello Stato membro che abbia dato origine alla trasgressione. Lo Stato, così come accade nell'ordinamento giuridico internazionale, è infatti considerato nella sua unità, senza che rilevi la circostanza che la violazione da cui ha avuto origine il danno sia imputabile al potere legislativo, giudiziario o esecutivo. Le peculiarità dell'organo, ai fini della responsabilità civile, rilevano solo dal punto di vista dell'illecito di diritto interno, in quanto in questo caso la responsabilità è riconducibile, appunto, allo specifico organo. Nel caso dell'illecito comunitario tale limite non ha ragion d'essere in quanto, considerato «dall'esterno», lo Stato rileva come unità e, si ripete, quale sia l'organo agente è circostanza irrilevante per il diritto comunitario. Mentre, dunque, dal punto di vista della responsabilità di diritto interno le peculiarità della funzione possono costituire un limite alla responsabilità stessa, dal punto di vista dell'illecito comunitario restano irrilevanti, posto che soggetto agente si intende non l'organo ma lo Stato. L'illecito, si è detto, è dello Stato e non del giudice. Nel caso di responsabilità dello Stato per violazione comunitaria derivante da provvedimento giurisdizionale non trova applicazione, quindi, la legge n. 117 del 1988, perché la fattispecie non è di illecito giudiziario, ma di illecito dello Stato in senso proprio. Il problema, cioè, non è di difformità della legge italiana (sulla responsabilità civile dei magistrati) rispetto all'ordinamento comunitario, ma di mancanza dei presupposti di applicabilità della normativa in discorso. Da tali premesse discende, pertanto, che la normativa posta dalla legge n. 117 del 1988, come rilevato anche dalla dottrina, non è in contrasto con la decisione della Corte di giustizia richiamata nell'interrogazione. Ciò chiarito in ordine alla prima questione sollevata nell'atto di sindacato ispettivo si fa presente, peraltro, con riferimento all'ulteriore quesito formulato dagli Onorevoli interroganti, che la riforma della responsabilità civile dei magistrati costituisce uno degli obiettivi del Ministero della Giustizia e la sua elaborazione sarà avviata all'esito del varo della riforma del codice di procedura civile - già approvata dalla Camera dei Deputati il 1o Ottobre 2008 ed ora all'esame delle Commissioni Giustizia e Affari costituzionali del Senato.
1 commento:
L'occupazione di Via Arenula da parte dei magistrati è un grande problema italiano.
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