Strasburgo uber alles secondo la Cassazione
Il giudice nazionale ha l’obbligo di conformarsi alla sentenza della Corte dei diritti dell’Uomo anche se questa riguarda una causa sulla quale non c’è stata ancora una decisione definitiva.
La Cassazione “supera” La Corte costituzionale - La terza sezione civile della Cassazione con la sentenza 19985, fa compiere un balzo in avanti alla Corte di Strasburgo - anche rispetto alla posizione presa dalla Consulta con le sentenze 348 e 349 del 2007 - ai quali il giudice interno deve “cedere il passo” allineandosi a quanto stabilito nel dispositivo della sua sentenza. Un’interpretazione in favore della disapplicazione diretta delle norme in contrasto con la Convenzione fatta in nome dell’identità di beni protetti anche dalla Costituzione italiana.
Il dovere di allinearsi - L’occasione per affermare il dovere delle nostre toghe di non discostarsi da quanto deciso a Strasburgo, limitatamente al motivo del contendere, è arrivata con la causa che ha visto opporsi un ex parlamentare Ds e un candidato accusato dal politico, in un intervista sul quotidiano Il Messaggero, di essere un trasformista passato attraverso vari schieramenti. Pronta era scattata la querela per diffamazione e, dopo il primo grado con un verdetto sfavorevole, anche il ricorso alla Corte europea dei diritti dell’Uomo. Alla Cedu il ricorrente aveva chiesto di dichiarare l’inapplicabilità dell’articolo 68 della Costituzione che consente ai parlamentari di farsi scudo con l’immunità per le dichiarazioni fatte nell’esercizio delle loro funzioni. Ombrello che Strasburgo aveva negato, classificando la “querelle” come una vicenda che riguardava due privati cittadini. Entrando nel merito, però, i giudici della Cedu avevano escluso anche la diffamazione, considerando le espressioni “incriminate” come il legittimo esercizio del diritto di critica politica.
L’applicabilità del dispositivo - La Corte di cassazione afferma la piena e immediata applicabilità della decisione per quanto riguarda l’insindacabilità, ovvero della questione affrontata direttamente dalla Cedu, mentre non considera il giudice vincolato a recepire la scelta fatta sulla questione trattata solo incidentalmente da Strasburgo perché oggetto di un ricorso autonomo. Gli ermellini sottolineano dunque gli effetti precettivi immediatamente assimilabili al giudicato delle sentenze Cedu per il giudice che è al momento il destinatario dell’obbligo giuridico. La Corte di Strasburgo – afferma, infatti, la terza sezione – nel dichiarare la violazione della Convenzione in merito a un diritto individuale dà vita a un principio generale che vincola tutti i sistemi giuridici aderenti al Consiglio d’Europa.
La Cassazione “supera” La Corte costituzionale - La terza sezione civile della Cassazione con la sentenza 19985, fa compiere un balzo in avanti alla Corte di Strasburgo - anche rispetto alla posizione presa dalla Consulta con le sentenze 348 e 349 del 2007 - ai quali il giudice interno deve “cedere il passo” allineandosi a quanto stabilito nel dispositivo della sua sentenza. Un’interpretazione in favore della disapplicazione diretta delle norme in contrasto con la Convenzione fatta in nome dell’identità di beni protetti anche dalla Costituzione italiana.
Il dovere di allinearsi - L’occasione per affermare il dovere delle nostre toghe di non discostarsi da quanto deciso a Strasburgo, limitatamente al motivo del contendere, è arrivata con la causa che ha visto opporsi un ex parlamentare Ds e un candidato accusato dal politico, in un intervista sul quotidiano Il Messaggero, di essere un trasformista passato attraverso vari schieramenti. Pronta era scattata la querela per diffamazione e, dopo il primo grado con un verdetto sfavorevole, anche il ricorso alla Corte europea dei diritti dell’Uomo. Alla Cedu il ricorrente aveva chiesto di dichiarare l’inapplicabilità dell’articolo 68 della Costituzione che consente ai parlamentari di farsi scudo con l’immunità per le dichiarazioni fatte nell’esercizio delle loro funzioni. Ombrello che Strasburgo aveva negato, classificando la “querelle” come una vicenda che riguardava due privati cittadini. Entrando nel merito, però, i giudici della Cedu avevano escluso anche la diffamazione, considerando le espressioni “incriminate” come il legittimo esercizio del diritto di critica politica.
L’applicabilità del dispositivo - La Corte di cassazione afferma la piena e immediata applicabilità della decisione per quanto riguarda l’insindacabilità, ovvero della questione affrontata direttamente dalla Cedu, mentre non considera il giudice vincolato a recepire la scelta fatta sulla questione trattata solo incidentalmente da Strasburgo perché oggetto di un ricorso autonomo. Gli ermellini sottolineano dunque gli effetti precettivi immediatamente assimilabili al giudicato delle sentenze Cedu per il giudice che è al momento il destinatario dell’obbligo giuridico. La Corte di Strasburgo – afferma, infatti, la terza sezione – nel dichiarare la violazione della Convenzione in merito a un diritto individuale dà vita a un principio generale che vincola tutti i sistemi giuridici aderenti al Consiglio d’Europa.
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