venerdì, novembre 14, 2008

Comunitaria 2008: importante presa di posizione dell'UCPI

LEGGE COMUNITARIA 2008

Il tormentato iter di approvazione di un nuovo Trattato per l’Unione Europea ha dimostrato, una volta ancora, come uno dei principali ostacoli ad una reale condivisione dei progetti di riforma sia costituito dalla diffusa percezione delle istituzioni comunitarie come un apparato tecnocratico chiuso in se stesso, autoreferenziale e lontano dai modelli democratici cui sono tendenzialmente improntati gli ordinamenti degli Stati membri.
Ed, infatti, solo nel primo pilastro si è assistito ad un timido temperamento del deficit democratico che da sempre caratterizza l’attività normativa degli organi dell’Unione Europea, attraverso un più significativo coinvolgimento del Parlamento Europeo nella produzione degli strumenti normativi di diritto comunitario.
Al contrario, nel settore nevralgico delle politiche del terzo pilastro, laddove è fondamentale che le scelte, in particolare di politica criminale e di politica giudiziaria, siano frutto di un confronto dialettico quanto più ampio tra le varie componenti parlamentari, si assiste al monopolio decisionale da parte del Consiglio (e dunque degli esecutivi degli Stati membri), senza che il Parlamento Europeo (unica istituzione direttamente rappresentativa dei cittadini dell’Unione) sia adeguatamente coinvolto nelle scelte legislative del settore giustizia, libertà e sicurezza.
Una siffatta attribuzione di competenze nella fase ascendente e decisionale dovrebbe imporre di enfatizzare il ruolo del Parlamento nazionale, almeno nella fase, discendente, di adeguamento del diritto interno al diritto dell’Unione Europea, così da controbilanciare e circoscrivere il potere normativo dell’esecutivo derivato da (ed autoalimentato con) il sistema comunitario.
Tuttavia, nel recepimento degli strumenti normativi di terzo pilastro, si è andata consolidando una prassi che, privilegiando il ricorso alla legislazione delegata, finisce con il confinare l’intervento del Parlamento ad una ratifica meramente burocratica (addirittura anche con forme di silenzio-assenso) dell’operato del Governo.
L’alluvione di leggi-delega e decreti legislativi verificatasi in materia penale negli ultimi anni – tanto da doversi riconoscere che quello previsto dall'art. 76 Cost. si è affermato come procedimento ordinario di legislazione penale – imporrebbe, già a livello interno, una profonda riflessione sulla derive verso l’esecutivo delle scelte di politica criminale.
Il processo legislativo costituito dal conferimento di delega legislativa parlamentare al Governo e correlata decretazione (art. 76 e 77 co.1 Cost.) è oggetto di particolare attenzione in ambito penale perché propone profili di tensione con le peculiari istanze di certezza e garanzia proprie del principio di legalità, istanze che, tra l’altro, esigono che il diritto penale si fondi sulla legittimazione democratica più immediata e diretta, essendo frutto di un trasparente ed aperto confronto tra maggioranza e minoranze, e non di decisioni assunte esclusivamente all'Esecutivo.
Oltretutto, nel settore specifico dell’attuazione di norme UE, il ricorso alla legislazione delegata pone all’interprete un ulteriore parametro di legittimità delle norme di recepimento: non vi sono più solo la conformità ai principi costituzionali che regolano il diritto ed il processo penale e la coerenza alle norme UE da attuare (da garantire, tra l’altro, attraverso disapplicazione ed interpretazione conforme), ma anche l’ulteriore termine di costituzionalità rappresentato dalla congruenza tra legge delega, decreto legislativo ed art. 76 Cost.
Il tutto in un ambito delicatissimo, nel quale massimamente dovrebbero essere garantite tassatività e determinatezza.
La legge 4 febbraio 2005, n. 11 (cd. Legge Buttiglione), nel fissare norme generali sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari, prevede l’adozione di disposizioni occorrenti per dare attuazione o assicurare l'applicazione degli atti del Consiglio o della Commissione delle Comunità europee, “anche mediante” il conferimento al Governo di delega legislativa.
Ancorché il ricorso alla delega al governo nella materia della cooperazione in materia penale sia previsto dalla legge n. 11/2005 in via eventuale – dovendosi fondare su un apprezzamento di opportunità avuto riguardo alla natura dell’atto cui dare attuazione, al rilievo ed alle implicazioni di carattere sistematico che presenta il recepimento delle singole decisioni quadro – anche nel settore del terzo pilastro, tuttavia, la legislazione delegata va assumendo il ruolo di strumento privilegiato (se non addirittura unico) di adeguamento del giure penale alle norme sovranazionali.
Nello specifico delle leggi comunitarie, la legge delega è il frutto di scelte, indirizzi ed elaborazioni del Governo (ai sensi dell’art. 8 della legge 11/2005, la legge comunitaria è, di norma, di iniziativa governativa), mentre al Parlamento viene assegnato un ruolo del tutto marginale, ai limiti della mera ratifica formale.
Siffatta procedura si traduce, nell’attività di recepimento degli strumenti normativi del settore Giustizia, Libertà e Sicurezza, in un vero e proprio cortocircuito decisionale. Ed invero, le decisioni quadro (ed i principi per la loro attuazione) sono adottate all’unanimità dal Consiglio UE, ossia dai rappresentanti del Governo degli Stati membri: in sede nazionale è poi lo stesso Governo che presenta al Parlamento il disegno di una legge delega (la legge comunitaria) con il quale propone di attribuire a sé stesso – ottenendolo – il potere di trasporre con decreto legislativo (secondo quei medesimi principi) la decisione quadro nell’ordinamento interno.
L’Unione delle Camere Penali, auspicando che – in una più ampia e condivisa revisione dei Trattati – sia finalmente sanato il deficit democratico intrinsecamente connesso alle fonti dell’UE e consapevole della necessità di affermare la centralità del Parlamento nazionale nell’iter di attuazione delle norme comunitarie, ha promosso un disegno di legge costituzionale di modifica dell’art. 76 della Costituzione, inteso a riservare al procedimento legislativo ordinario ogni intervento in ambito penale (sia sostanziale che processuale) che si renda necessario nell’attività di recepimento degli obblighi comunitari ed internazionali.
In attesa che si avvii nel Parlamento una riflessione sulle proposte dell’Unione delle Camere Penali e, più in generale, sulla necessità di riaffermare la centralità del Parlamento nel recepimento degli strumenti normativi UE che implichino interventi sul diritto penale sostanziale e processuale, si ritiene indispensabile che le Camere sin da ora si riapproprino del proprio ruolo, svicolando dalle procedure previste dalla legge 11/2005, quantomeno, l’attuazione delle decisioni quadro.
Nel disegno di legge comunitaria per il 2008 presentato lo scorso 26 febbraio 2008 (d.d.l. A.S. 1078) il Governo propone al Parlamento di conferire delega legislativa per l’attuazione, tra l’altro, alle decisioni quadro:
- 2006/783/GAI del Consiglio, del 6 ottobre 2006, relativa all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca; - 2006/960/GAI del Consiglio, del 18 dicembre 2006, relativa alla semplificazione dello scambio di informazioni e intelligence tra le autorità degli Stati membri dell'Unione europea incaricate dell'applicazione della legge.
La natura e gli effetti che le decisioni quadro in questione – in particolare la prima – avranno sull’ordinamento penale e processuale penale interno non consentono di ritenere opportuno che la loro attuazione avvenga attraverso la delega al governo, senza accordare al Parlamento piene prerogative attraverso l’iter ordinario di formazione e approvazione delle leggi.
Nella specie si tratta di decisioni quadro che incidono direttamente sul diritto penale sostanziale e processuale, introducendo misure che coinvolgono i diritti e le garanzie delle persone sottoposte a procedimento penale o comunque destinatarie di provvedimenti assunti in procedimenti penali.
Al di là dei fondati rilievi di merito che possono sollevarsi in relazione al contenuto delle decisioni quadro ed al tenore dei principi e criteri direttivi contenuti nel d.d.l. (va rimarcata, in ogni caso, la totale assenza di rigore, analiticità e chiarezza nei principi e criteri direttivi, in particolare nella delega per la previsione di sanzioni alle violazioni delle direttive da attuare), occorre risolvere la più volte denunciata questione di metodo legislativo, evitando di sclerotizzare una prassi che presenta gravi profili di tensione con i principi generali del diritto e del processo penale.
Si chiede, pertanto, lo stralcio dal d.d.l. delle disposizioni riguardanti l’attuazione delle decisioni quadro (artt. 24, 25 e 26) e di riservare per le stesse specifici d.d.l. da sottoporre all’esame ed all’approvazione del Parlamento in via ordinaria, avviando una prassi che individui, quantomeno per la attuazione degli strumenti di terzo pilastro, l’esistenza di una riserva assoluta di legge parlamentare.
Roma, 7 novembre 2008
La Giunta dell’Unione delle Camere Penali Italiane

martedì, novembre 11, 2008

CGCE: riaffermato il principio tempus regit actum

*Procedimento C‑296/08 PPU: la sentenza della terza sezione della Corte, pronunciata il 12 agosto - in sede di prima applicazione della nuova procedura pregiudiziale d’urgenza (PPU) con riferimento ad una vicenda con incidenza in materia penale - concerne una complicata questione relativa alle norme applicabili ad una procedura di estradizione per reati commessi prima dell’entrata in vigore della decisione quadro sul Mandato di arresto europeo. La Corte coglie l’occasione della sentenza anche per riaffermare il principio tempus regit actum secondo il quale “le norme di procedura si applicano, come si ritiene in generale, a tutte le controversie pendenti all’atto della loro entrata in vigore, a differenza delle norme sostanziali, che, in linea di principio, non riguardano situazioni maturate anteriormente alla loro entrata in vigore”(p. 80).

lunedì, novembre 03, 2008

Proposta di direttiva: sanzioni per chi offre lavoro a immigrati irregolari

Proposta di direttiva che prevede rigide sanzioni per le imprese che offrono lavoro a cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente sul territorio di uno degli Stati membri dell'Unione. Il testo.