giovedì, marzo 31, 2011

Responsabilità civile & attività giudiziaria

In questi giorni sono numerose le notizie in circolazione sulla stampa che riguardano la vicenda (sollevata da questo blog) e relative alla responsabilità dello Stato per violazioni del diritto derivanti da decisioni giudiziarie.
Innanzitutto va ribadito come la richiesta dell'UE riguardi una responsabilità dello Stato (ma per regresso anche dei magistrati, come nel sistema della Legge Vassalli) per violazione manifesta del diritto (UE ma sarebbe il caso di estendere l'ipotesi) derivante da decisione giudiziaria definitiva secondo l'ordinamento interno (è ad esempio il caso di decisioni pregiudizievoli derivanti da interpretazioni poi smentite, anche in vicende non connesse, in sede di ricorso dinanzi a Corte costituzionale, giurisdizione UE o Corte di Strasburgo!).
La logica dietro la richiesta è semplice: il mezzo ordinario per riparare errori giudiziari è il normale sistema delle impugnazioni, ma cosa succese se le giurisdizioni (soprattutto quelle di ultima istanza) assumono decisioni errate semmai rifiutandosi di attivare gli strumenti di collaborazione con i diversi giudici delle leggi operanti nel nsotro sistema (Corti costituzionali e Corte di giustizia UE)?

A dispetto dell'eccitato dibattito la questione appare abbastanza semplice. I toni particolari sono probabilmente dovuti ad un rapporto politica-ordine giudiziario assai sensibile da parecchi decenni che potrà solo essere riequilibrato da una ponderata revisione costrituzionale.

Su una cosa però questo blog non può non prendere posizione.
Alcune delle critiche alla revisione del sistema della responsabilità sono irricevibili perchè si fondano su un equivoco di fondo.
Le limitazioni alla responsabilità dei giudici (come l'interposizione dello Stato o la limitazione a casi di dolo e colpa grave o manifesta violazione del diritto) sono accettabili se e nella misura in cui tutelano l'esercizio della giurisdizione e non possono essere invocate (e non lo sono in quasi tutti i sistemi civili) per i titolari del potere di esercizio e conduzione dell'azione penale per i quali il regime della responsabilità andrebbe equiparato a quello di ogni altro funzionario pubblico (vedi su tutti l'esempio tedesco che prevede sostanziale immunità personale dei giudici e responsabilità piena dei PM!).

Il dibattito italiano sul tema appare sostanzialmente falsato da una carriera unica tra PM e giudici ormai indifendibile dal punto di vista della Costituzione ma anche e soprattutto degli standard internazionali relativi alla organizzazione dei sistemi giudiziari.
E' quello della separazione il vero punto nodale della intera vicenda, senza una vera e sostanziale distinzione di funzioni, carriere ed ordinamento tra accusa e giurisdizione ogni avanzamento pare difficile.

ps
Il dibattito italiano pare poi non essere sufficientemente consapevole che essenziale ad un ordinato funzionamento del sistema giudiziario è anche il modello di azione disciplinare che allo stato pare assai carente per giudici, Pm ed avvocati!

lunedì, marzo 28, 2011

Secondo il Tribunale costituzionale tedesco se lo Stato non riesce a garantire una detenzione dignitosa il detenuto va rilasciato



Due persone, rinchiuse per 23 ore in una cella di 8 metri quadrati con annessa toilette non separata: una detenzione in simili condizioni lede la dignità umana. Così ha stabilito il I Senato del Tribunale costituzionale tedesca (Bverfg) il 9 marzo nella procedura 1 BVR 409/09. Ma la sentenza sorprende soprattutto per l’osservazione aggiuntiva: se, per motivi di sovraffollamento non è possibile garantire una detenzione rispettosa della dignità umana, all’occorrenza i detenuti devono essere rilasciati.

Il caso riguardava un ex detenuto del Nord Reno-Westfalia, che ha vissuto 23 ore al giorno per 151 giorni in una cella di 8 mq con il gabinetto diviso da un paravento ma senza aerazione; con lui un secondo detenuto - sempre diverso. La doccia gli spettava solo due volte alla settimana, i suoi compagni di cella erano per lo più fumatori, sicché l’ambiente diventava un mix insopportabile di fumo, odori corporali e puzzo di gabinetto. La sua richiesta d’essere trasferito in una cella singola venne respinta. Date queste condizioni, l’uomo ha chiesto un risarcimento pecuniario alla Regione, ma senza successo. Ora, la Corte costituzionale federale gli ha dato ragione: le condizioni in cui ha vissuto giustificano la richiesta di un indennizzo.

Secondo i giudici di Karlsruhe, la superficie minima è di 6 - 7 metri quadrati per recluso. Qualora non sia possibile garantire una sistemazione umanamente dignitosa, si deve arrivare anche a liberare i detenuti. In certi casi, lo Stato ha il dovere “di rinunciare all’esecuzione della condanna”. I detenuti potrebbero quindi “richiedere l’interruzione, oppure il rinvio della pena”.
 
Anche la Germania va verso le liste di attesa come già alcuni paesi scandinavi?
 
In Italia invece tanta apatia nonostante che il nostro paese sia stato già più volte condannato dalla Corte di Strasburgo per le condizioni di detenzione non dignitose; una presa di coscienza della condizone nelle carceri forse sarebbe necessaria anche nella nostra giurisdizione.

giovedì, marzo 24, 2011

Rimpatrio clandestini: le questioni della Cassazione alla CGUE

SICUREZZA PUBBLICA – IMMIGRAZIONE CLANDESTINA - DIRETTIVA 2008/115/CE - INTERPRETAZIONE - RIMESSIONE ALLA CORTE DI GIUSTIZIA DELL'UNIONE EUROPEA


La prima sezione della Corte di cassazione ha chiesto alla Corte di giustizia dell’Unione Europea di pronunciarsi, in via pregiudiziale, e con applicazione del procedimento d’urgenza, su una serie di questioni di interpretazione degli articoli 2, par. 2, lett. b); 7, par. 1 e 4; 8, par. 1 e 4; 15, par. 1, 4, 5 e 6, della Direttiva 2008/115/CE (Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare). La Corte di giustizia è stata chiamata, in particolare, a chiarire: (a) se gli artt. 7 (par. 1 e 4), 8 (par. 1, 3 e 4) e 15 (par. 1) della Direttiva vadano interpretati nel senso che è precluso allo Stato membro, invertendo le priorità e l’ordine procedurale indicato dalle predette disposizioni, intimare allo straniero irregolare di lasciare il territorio nazionale quando non sia possibile dar corso all’allontanamento coattivo, immediato o previo trattenimento; (b) se l’art. 15, par. 1, 4, 5 e 6 della Direttiva, vadano quindi interpretati nel senso che è precluso allo Stato membro far conseguire all’ingiustificata mancanza di collaborazione dello straniero al rimpatrio volontario, e per questa sola ragione, la sua incriminazione a titolo di delitto, con una sanzione detentiva (la reclusione) quantitativamente superiore (fino a dieci volte) rispetto al già esaurito, od oggettivamente impossibile, trattenimento ai fini di allontanamento; (c) se l’art. 2, par. 2, lett. b), della Direttiva possa essere interpretato, alla luce dell’art. 8 della stessa Direttiva e degli ambiti della politica comune individuati dall’art. 79 del Trattato sul Funzionamento dell’UE (TFUE), nel senso che sia sufficiente che lo Stato membro decida di configurare come reato la mancata cooperazione dello straniero al suo rimpatrio volontario, perché la Direttiva non trovi applicazione; (d) se gli artt. 2 (par. 2, lett. b) e 15 (par. 4, 5 e 6) della Direttiva vadano, all’inverso, interpretati, anche alla luce dell’art. 5 della Convenzione EDU, nel senso che essi siano d’ostacolo alla sottoposizione dello straniero irregolare, per il quale non sia oggettivamente possibile, o non sia più possibile, il trattenimento, ad una spirale di intimazioni al rimpatrio volontario e di restrizioni della libertà che dipendono da titoli di condanna per delitti di disobbedienza a tali intimazioni; (e) se, conclusivamente, anche alla luce del decimo “considerando”, del previgente art. 23 della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen (CAAS), delle raccomandazioni e degli orientamenti richiamati in premessa dalla Direttiva e dell’art. 5 della Convenzione EDU, sia possibile affermare che gli artt. 7 (par. 1 e 4), 8 (par. 1, 3 e 4) e 15 (par. 1, 4, 5 e 6) della Direttiva conferiscono valore di regola ai principi che la restrizione della libertà ai fini del rimpatrio va considerata alla stregua di extrema ratio, e che nessuna misura detentiva è giustificata se collegata ad una procedura espulsiva in relazione alla quale non esiste alcuna prospettiva ragionevole di rimpatrio.


Ordinanza n. 11050 del 18 febbraio 2011 - depositata l'8 marzo 2011 (Sezione Prima Penale, Presidente S. Chieffi, Relatore E. Iannelli)



domenica, marzo 20, 2011

Sulla riforma costituzionale della giustizia (II)

Continuando nella rassegna di opinioni ed informazioni relative alla proposta di riforma costituzionale della Giustizia riportiamo l'opinione (che Dell'Europa e delle pene condivide!) di uno storico esponente di Magistratura Democratica: Nello Rossi.
Tra l'altro cogliamo l'occasione per ricordare come l'inappellabilità delle sentenze di proscioglimento è anche un obbligo internazionale (e dunque costoituzionale) essendo ale principio inserito nel Patto internazionale sui diritto civili e politici elabporatop in sede onusiana (art. 14).

Dal Corsera del 18.11.11
ROMA - La voce del procuratore aggiunto di Roma Nello Rossi è molto ascoltata all' interno di Magistratura democratica (la corrente di sinistra dei magistrati) e lui come in passato, quando era consigliere del Csm, ripete che nei momenti difficili bisogna «sapersi sporcare le mani senza cedere alla tentazione dell' immobilismo». Bisogna «avere coraggio». Anche accettando, «con un paio di corollari sulla prescrizione e sulla collegialità del giudice», la proposta di un «interlocutore ostile» come Silvio Berlusconi che ha rilanciato l' inappellabilità delle sentenze di primo grado. Berlusconi dice: se un giudice indipendente ti assolve in primo grado la partita deve finire lì. Condivide? «La inappellabilità delle sentenze di assoluzione è una scelta giusta. L' ho detto dieci anni fa, assai prima della legge Pecorella, e lo ripeto ora».

Quindi è giusto impedire alla pubblica accusa di fare appello. «In termini di principio, la questione è chiarissima. Se un imputato può essere condannato solo quando la sua colpevolezza è provata "al di là di ogni ragionevole dubbio", come si può negare che una sentenza di assoluzione in primo grado attesti in modo concretissimo che un giudice si è già convinto della innocenza o almeno ha già concretamente dubitato della colpevolezza dell' imputato?». E se il giudice, quel giorno, ha bevuto? «E allora la sentenza di assoluzione è illogica e contraddittoria e in questo caso è la Corte di Cassazione che deve annullarla».

Con quale frequenza i pm vanno in appello? «Gli appelli del pm sono assai pochi. La strada da imboccare è un' altra: valorizzare al massimo il processo di primo grado con la prova che si forma nel contraddittorio». A quali condizioni? «Con 2 indispensabili corollari: aumentare il numero di reati su cui giudica un collegio ed agganciare la prescrizione solo al primo grado. La prescrizione dovrebbe correre sin quando lo Stato tiene sotto processo un individuo. Se è l' imputato che chiede l' appello si va oltre la prescrizione». La Consulta ha già bocciato la legge Pecorella. «Si potrebbe riproporre l' inappellabilità con legge costituzionale. E poi la parità delle parti non mi sembra un argomento insormontabile. E' difficile mettere sullo stesso piano l' imputato che soffre il processo ed un ufficio che può appellare burocraticamente». Perché il premier ha rilanciato l' inappellabilità? «Non so se serve a Berlusconi e non mi interessa neppure. Come ha scritto Fernando Braudel "dirigere i propri pensieri contro qualcuno significa rimanere nella sua orbita". E non ce lo possiamo più permettere».

Dino Martirano


Chi è Nello Rossi: 62 anni, già consigliere del Csm ed ex segretario dell' Associazione nazionale magistrati, è procuratore aggiunto di Roma e appartiene alla corrente di Magistratura democratica

giovedì, marzo 17, 2011

Riforma della giustizia e visione comparata: responsabilità disciplinare

Questo blog è a favore di una ampia (e forse per questo, ahinoi, velleitaria in questo paese!) riforma della Giustizia, a partire da separazione delle carriere, nuovo procedimento disciplinare sino ad un nuovo modello di reclutamento dei magistrati ed ad un nuovo approccio in materia di responsabilità dello stato e dei funzionari pubblici che sappia contemperare indipendenza nel giudizio e tutela dei diritti.

Su questi punti appare utile un confronto con altre esperienze; per questo proveremo a diffondere e suggerire documenti utili all'approfondimento.
Iniziamo col segnalare un dossier della Camera sulla responsabilità disciplinare dei magistrati in alcune esperienze europee:
http://documenti.camera.it/Leg16/Dossier/Testi/MLC16007.htm

mercoledì, marzo 16, 2011

Ancora in materia di giochi d'azzardo

Nuova interessante pronuncia della CGUE in materia di giochi d'azzardo. Questa volta l'attenzione del giudice europeo si appunta sulla legislazione austriaca.
Secondo la Corte, in causa C-64/08:

1) L’art. 43 CE dev’essere interpretato nel senso che esso osta alla normativa di uno Stato membro che limita la gestione dei giochi d’azzardo nelle case da gioco esclusivamente agli operatori che abbiano la loro sede nel territorio di tale Stato membro.


2) L’obbligo di trasparenza derivante dagli artt. 43 CE e 49 CE, nonché dai principi di parità di trattamento e di non discriminazione a causa della nazionalità, osta all’attribuzione, senza alcuna apertura alla concorrenza, della totalità delle concessioni relative alla gestione delle case da gioco nel territorio di uno Stato membro.



lunedì, marzo 14, 2011

Inottemperanza dello straniero: anche la Cassazione rinvia alla CGUE



La prima sezione penale della Corte suprema di Cassazione, nel procedimento a carico di Demba Ngagne, in esito all’udienza pubblica dell'8 marzo 2011, ha deliberato di proporre rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea in merito alla direttiva 2008/115/CE, del 16 dicembre 2008, recante «norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare».

Nel caso di specie, il Procuratore generale presso la Corte ha proposto richiesta di annullamento senza rinvio della sentenza di condanna del ricorrente per il delitto di cui all’art. 14, comma 5-quater, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), nel testo risultante dalle modifiche introdotte ex art. 1, comma 22, lettera m) della legge15 luglio 2009, n. 94 (approvata in pendenza del termine per l'adeguamento della normativa interna alla direttiva). La richiesta di annullamento è stata formulata per la ritenuta insussistenza del fatto ascritto al ricorrente, sul presupposto che la disciplina interna in materia di inottemperanza all’ordine di allontanamento contrasti con la citata direttiva.

La Cassazione, come detto, ha sollecitato la Corte europea affinché si pronunci in via pregiudiziale sulle questioni di interpretazione dell’art. 2, par. 2, lett. b), dell’art. 7, par. 1 e 4, dell’art. 8, par. 1 e 4, dell’art. 15, par. 1, 4, 5, 6 della suddetta direttiva.

Cass. pen., sez. I, 8.3.2011, Pres. Chieffi, Rel. Di Tomassi, Ric. Ngagne