sabato, giugno 28, 2008

Impronte digitali nomadi: un pò di chiarezza

Il Ministro dell'Interno pubblicamente rivendica la legittimità dell' "ordinanza" che parrebbe disporre l'acquisizione di dati biometrici (impronte digitali) dei soggetti appartenenti alle comunità nomadi presenti in Italia.
Il Ministro fa esplicito riferimento al regolamento CE n. 380/2008 in materia di disciplina comune per i permessi di soggiorno.
Posto che si sta trattando, per quanto riguarda il testo governativo, di un provvedimento allo stato 'irreperibile' (cosa che poco si confa ad uno Stato di diritto) - tanto che lo stesso Garante per la privacy ha dovuto chiedere informazioni suppletive al Ministero dell'Interno, con nota del 26 giugno scorso (vedi qui) - un paio di cose possono essere affermate con un certo grado di certezza.
Il richiamo al regolamento comunitario (che tra l'altro, lo ricordiamo, è vigente ed obbligatorio in tutte le sue parti) non appare pertinente, secondo le ricostruzioni di stampa, perchè questo è applicabile in maniera indiscriminata a tutti i cittadini dei paesi terzi richiedenti permesso di soggiorno...e non pare il caso.
Il problema, assai grave, sorge ove il provvedimento degli Interni disponga l'acquisizione delle impronte digitali dei soli nomadi (per lo più appartenenti ad una specifica etnia) in tal modo configurandosi come provvedimento chiaramente ed ictu oculi discriminatorio e per tal via illegittimo costituzionalmente e comunitariamente; inoltre contrario alle norme ordinarie in materia di tutela della privacy, come ricordato dal Garante.
In conclusione: o si tratta della solita tempesta in un bicchier d'acqua (nel caso ci si trovi dinanzi alla sola esecuzione del regolamento CE) o siamo di fronte ad un provvedimento assolutamente illegittimo ed inapplicabile; in questo caso consigliamo vivamente al Ministro di cambiare staff tecnico.

venerdì, giugno 27, 2008

Regole tecniche e formula assolutoria: nuova pronuncia

Sentenza n. 21579 del 6 marzo 2008 - depositata il 29 maggio 2008
(Sezione Settima Penale, Presidente B. Rossi, Relatore A. Franco)
Con la decisione in oggetto la Corte torna a valutare, successivamente alle plurime decisioni della terza sezione depositate il 2 aprile 2008 e in maniera parzialmente difforme dalle stesse, gli effetti, sui reati essenzialmente previsti dagli artt. 171 bis e ter della legge n. 633 del 1941, della sentenza della Corte di Giustizia C. E. 8/11/2007, Schwibbert, secondo cui le disposizioni nazionali che hanno stabilito, successivamente all’entrata in vigore della direttiva comunitaria n. 189 del 1983, l’obbligo di apporre sui supporti il contrassegno Siae, costituiscono una regola tecnica che, ove non notificata alla Commissione, è inopponibile al privato. La Corte, in particolare, pur muovendo dal presupposto, comune alle altre decisioni, che il contrassegno Siae relativo a supporti non cartacei risulta introdotto nell’ordinamento italiano da norme successive all’approvazione della citata direttiva, e non comunicate, quanto meno sino alla data della sentenza della Corte di Giustizia, alla Commissione, ha tuttavia ritenuto che la non opponibilità ai privati di dette norme debba comportare l’assoluzione dell’imputato non già “perché il fatto non sussiste” ma “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato”; ha altresì precisato, anche in tal caso difformemente dall’indirizzo della terza sezione, che in ordine ai reati aventi invece ad oggetto supporti illecitamente duplicati o riprodotti, e che, non prevedendo come elemento essenziale tipico la mancanza del contrassegno (come il reato ex art. 171 ter, comma primo, lett. c), restano punibili, come alla mancanza del contrassegno non si possa attribuire alcun valore, neppure meramente indiziario, circa la illecita duplicazione o riproduzione. Ha infine chiarito che ove il ricorso per cassazione fosse inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi, ciò non impedirebbe (difformemente in particolare da quanto affermato dalla sentenza n. 13853) la possibilità di adottare, ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., l’immediata declaratoria di annullamento della sentenza impugnata per mancata previsione, sin dall’origine, come reato, del fatto stesso.

lunedì, giugno 16, 2008

MAE e Cassazione o della doppia incriminazione presa sul serio

RAPPORTI GIURISDIZIONALI CON AUTORITA' STRANIERE - MAE - DOPPIA PUNIBILITA' - FATTISPECIE NON COSTITUENTE REATO IN ITALIA ALL'EPOCA DEI FATTI


La Corte, in tema di mandato di arresto europeo, ha stabilito che il requisito della doppia punibilità di cui all’art. 7 della legge n. 69/2005 non implica che il fatto per il quale la consegna è richiesta debba costituire reato nell’ordinamento italiano già alla data del commissi delict (nella specie, la consegna era stata richiesta per il reato di guida senza patente, commesso in Romania nel 2005, ovvero prima dell’entrata in vigore del d.l. 3 agosto 2007, n. 117, conv. nella legge 2 ottobre 2007, n. 160).

Sentenza n. 22453 del 4 giugno 2008 - depositata il 5 giugno 2008
(Sezione Sesta Penale, Presidente S. F. Mannino, Relatore G. Conti)

martedì, giugno 10, 2008

Anche il Conseil d'Etat si pronuncia sugli obblighi antiriciclaggio degli avvocati

Il Consiglio di Stato francese, con una sentenza resa lo scorso 10 aprile, ha delimitato il campo di applicazione della II direttiva antiriciclaggio nella attività professionale forense stabilendo che la consulenza giuridica resta soggetta al segreto professionale. La giurisprudenza francese si è così inserita nel solco interpretativo già tracciato dalla Corte di giustizia delle comunità europee e dalla Corte costituzionale belga, che già avevano avuto modo di esprimersi su questa controversa questione. Due i passaggi significativi della decisione dell’ alto giudice amministrativo. Innanzitutto, il Conseil d’Etat ha stabilito che la direttiva 2001/97/Ce può essere ritenuta compatibile con i principi fondamentali come il diritto alla difesa e alla riservatezza delle comunicazioni solo ove, alla luce del considerando 17 della stessa direttiva, le informazioni ricevuto o ottenute da un avvocato al momento della valutazione della situazione giuridica di un cliente “siano escluse dal campo degli obblighi di informazione e di operazione con le autorità pubbliche con la sola riserva dei casi in cui il consulente legale prenda parte alle attività di riciclaggio di capitali o la consulenza legale sia fornita a fini di riciclaggio o l’avvocato sappia che il suo cliente intenda ottenere la consulenza ai fini del riciclaggio di denaro sporco
. In secondo luogo ha riconosciuto e affermato che i principi generali dell’ordinamento, in particolare il diritto alla segretezza delle comunicazioni fra avvocato e cliente, prevalgano sulla normativa antiriciclaggio, limitandone l’applicazione agli avvocati nei casi tassativamente elencati. Sulla base di queste considerazioni e con specifico riferimento alla normativa nazionale di attuazione della direttiva comunitaria, il giudice amministrativo ha statuito che essa è invalida nella misura in cui consente all’autorità di sorveglianza di porre direttamente domande ai professionisti legali prescindendo dalla essenziale funzione di filtro svolta dagli ordini professionali; e che il Codice monetario e finanziario è invalido nella misura in cui impone agli avvocati un ruolo di vigilanza nella loro attività professionale, senza prevedere condizioni a salvaguardia del segreto professionale.