venerdì, aprile 01, 2016

Frodi IVA: la Cassazione si schiera contro la disapplicazione delle norme interne di favore

La Terza sezione penale della Corte di Cassazione, con due decisioni di identico contenuto, assunte consecutivamente alle udienze del 30 e del 31 marzo, ha deciso di sollevare la questione di costituzionalità dell’art. 2, legge n. 130/2008, che ordina l’esecuzione del Trattato sul funzionamento dell’UE, come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona, nella parte che impone di applicare la disposizione da cui - nell’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza Taricco - discende l’obbligo per il giudice nazionale di disapplicare gli articoli 160, comma 3, e 161, comma 2, del Codice penale, in presenza delle circostanze indicate nella sentenza, allorquando ne derivi la sistematica impunità delle gravi frodi in materia di IVA, anche se dalla disapplicazione, e dal conseguente prolungamento del termine di prescrizione, discendano effetti sfavorevoli per l’imputato, per contrasto di tale norma con gli articoli 3, 11, 25, comma 2, 27, comma 3, 101, comma 2, Cost.
Le decisioni della Cassazione, adottate alle udienze del 30 e del 31 marzo 2016, sono state chiamate ad affrontare la questione “se, dall’applicazione dell’art. 325, § 1 e 2, TFUE, nell’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia, 08/09/2015, causa C- 105/14, Taricco, discenda l’obbligo per il giudice nazionale di disapplicare gli articoli 160, comma 3, e 161, comma 2, c.p., in presenza delle circostanze indicate nella sentenza, allorquando ne derivi la sistematica impunità delle gravi frodi in materia di IVA, nonostante dal conseguente prolungamento del termine di prescrizione discendano effetti sfavorevoli per l’imputato”.

martedì, marzo 29, 2016

Processo penale: per la CGUE legittimo imporre l'utilizzo di una lingua e la nomina di un domiciliatario

Sentenza della Corte di Giustizia nella causa  C‑216/14
 
Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:
 
1)      Gli articoli da 1 a 3 della direttiva 2010/64/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 ottobre 2010, sul diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali, devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, la quale, nell’ambito di un procedimento penale, non consenta alla persona, nei cui confronti sia stato emesso decreto penale di condanna, di proporre opposizione per iscritto avverso il decreto stesso in una lingua diversa da quella del procedimento, sebbene tale persona non padroneggi quest’ultima lingua, a condizione che le autorità competenti non ritengano, conformemente all’articolo 3, paragrafo 3, di tale direttiva, che, alla luce del procedimento di cui trattasi e delle circostanze del caso di specie, detta opposizione costituisca un documento fondamentale.
2)      Gli articoli 2, 3, paragrafo 1, lettera c), e 6, paragrafi 1 e 3, della direttiva 2012/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2012, sul diritto all’informazione nei procedimenti penali, devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale di uno Stato membro, come quella oggetto del procedimento principale, la quale, nell’ambito di un procedimento penale, imponga all’imputato non residente in tale Stato membro di nominare un domiciliatario ai fini della notifica di un decreto penale di condanna emesso nei suoi confronti, purché tale persona benefici effettivamente in toto del termine stabilito per proporre opposizione avverso il decreto stesso.

venerdì, marzo 04, 2016

Presunzione di innocenza e diritto a partecipare al processo: approvata la nuova direttiva UE

Il 12 Febbraio 2016 il Consiglio ha adottato una direttiva che rafforza alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali.
La direttiva ha lo scopo di rafforzare il diritto a un equo processo nei procedimenti penali, stabilendo norme minime relative ad alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo. Il testo, basato su una Proposta della Commissione del 2013, ad oggi ancora non pubblicato in GUUE, è visionabile a questo link.

martedì, marzo 01, 2016

E' legittima la normativa interna in tema di diritto del terzo di impugnare un provvedimento di confisca che lo riguarda?

La Corte di cassazione (I sezione, relatore Magi) ha sollevato questione di legittimità costituzionale, per sostanziale violazione della Convenzione europea sui diritti dell'uomo, delle norme di diritto interno (rito penale) che non prevedono la possibilità per il terzo, titolare di diritto reale pieno su bene oggetto di confisca, di promuovere ricorso avverso la decisione giudiziaria che dispone appunto la confisca del bene de quo.
 
Con l’ordinanza del 14.1.2016, dep. 01.03.2016, n. 68/2016/001 n. 8317/16, si solleva questione di legittimità costituzionale degli artt. 573, 579 co.3 e 593 c.p.p. (in relazione agli artt. 3, 24, 42, 111 e 117 –in riferimento agli artt. 6 co.1, 13 e 1 prot.add. Conv.EDU- Cost.) nella parte i cui non prevedono, a favore di terzi incisi nel diritto di proprietà per effetto della sentenza di primo grado, la facoltà di proporre appello sul solo capo contenente la statuizione di confisca, indipendentemente dalla possibilità di agire nella fase cautelare con il ricorso a norma dell’art. 322 co1, c.p.p., ovvero 322bis c.p.p. e, in sede esecutiva, a norma dell’art. 676 c.p.p., non essendo prevista la possibilità di interloquire nel giudizio di merito a cognizione piena.
 
La vicenda de quo è maturata innanzi alla Corte di appello di Messina che aveva dichiarato inammissibile gli atti di appello presentati dai terzi titolari dei beni confiscati a norma dell’art. 12sexies, l. n. 356/1992, pur avendo gli stessi partecipati al giudizio.
I terzi (non imputati, perché parenti stretti, del delitto di cui all’art.12quinquies, l. n. 356/1992 in relazione alla interposizione) hanno presentato ricorso per cassazione sostenendo, tra l’altro, la incostituzionalità della norma che impedisce la presentazione dell’impugnazione da parte del terzo che sia pregiudicato nel diritto di proprietà dalla confisca ordinata in primo grado (di beni di cui si è affermata la fittizia intestazione per conto di imputati di associazione di cui all’art. 416bis c.p.); la Corte ha sollevato la questione, anche evidenziando la disparità di trattamento con la diversa regolamentazione prevista per le misure di prevenzione (art. 20, d.l.gs n. 159/2011: il terzo esplica il suo diritto al contraddittorio sin dalla fase di primo grado ed è titolare del potere di impugnazione, a norma dell’art .23 co.1, stesso decreto), nonché mettendo in evidenza la inadeguatezza, dal punto di vista ontologico (in ragione della esistenza di una decisione definitiva), dell’incidente di esecuzione per porre rimedio alla situazione verificatasi.

sabato, febbraio 06, 2016

Atene rifiuta l'esecuzione di un MAE emesso dal Tribunale di Milano

La Giustizia italiana non pare godere di un buon nome in Europa.
Dopo la clamorosa decisione di qualche giorno fa del Tribunale costituzionale di Karlsuhe che negava l'estradizione di un cittadino americano condannato in Italia è il turno del Tribunale penale di Atene che nega la consegna di alcuni ricercati greci. La vicenda è quella delle devastazioni legate alle manifstazioni "no Expo" di Milano.
 
Eseguendo il mandato sarebbero violati - secondo quello che trapela del contenuto del provvedimento giudiziario ellenico - i principi della proporzionalità della pena e dell’equo processo.
 
Sia il reato di devastazione e saccheggio sia quello di resistenza secondo i giudici greci vengono contestati descrivendo gli stessi fatti e non emerge che cosa avrebbero fatto con precisione i singoli manifestanti.
La corte di Atene scrive di vaghezza dell’imputazione oltre a ricordare che per manifestazioni violente in Grecia la pena massima arriva a 5 anni. In Italia il reato di devastazione e saccheggio è punito con condanne comprese tra gli 8 e i 15 anni di reclusione.
 
La consegna è stata negata ma potrebbe essere avviata un’indagine penale in Grecia a carico dei cinque antagonisti.

venerdì, febbraio 05, 2016

Mutamenti di giurisprudenza e art. 6 CEDU: nessuna violazione

Interpretazioni divergenti delle norme e mutamenti di giurisprudenza non costituiscono di per sé violazioni dell'art. 6 della CEDU, lo ha stabilito la Corte di Strasburgo.
 
Un cambiamento di orientamento da parte dei giudici nazionali è inerente a ogni sistema giudiziario. Nessuna violazione dell’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che assicura l’equo processo, nel caso in cui, sul piano nazionale, vi siano divergenze e soluzioni differenti in relazione a casi simili. E’ quanto ha stabilito la Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza del 22 dicembre nel caso Stanković e Trajković contro Serbia
(CASE OF STANKOVIC AND TRAJKOVIC v. SERBIA).

lunedì, febbraio 01, 2016

ripartire da dove eravamo rimasti

Per lungo tempo questo blog è stato un punto di riferimento della riflessione e del confronto in tema di giustizia penale ed integrazione europea.
Oggi i luoghi dell'informazione e del confronto si sono moltiplicati e spesso con prodotti di grande qualità e vario contenuto.
Per ragione di vita e di professione questo spazio è rimasto fermo ancorché aperto per un ampio arco temporale, eppure in questo arco temporale alcune battaglie che molto debbono a questo blog sono arrivate in porto: è il caso della riforma della Legge Vassalli che proprio da questo spazio si è richiesti per primi di riformare in ossequi agli obblighi comunitari come interpretati dalla Corte di Lussemburgo.
Ora è giunto il tempo di riprendere il percorso pur con delle innovazioni e soprattutto rafforzando e sottolineando il peculiare punto di vista di chi se ne occupa, quello delle garanzie e dell'attenzione all'equilibrio dei poteri, quello di un europeista che crede nel futuro e nelle ragioni dell'integrazione ma senza che l'apertura e l'entusiasmo per il nuovo si trasformino in salti nel buio o nel trionfo dei peggiori incubi burocratico giudiziari.