martedì, maggio 11, 2021

Tabulati telefonici. Il Tribunale di Rieti rimette gli atti alla CGUE. L'ordinanza presenta alcune problematicità dal punto di vista UE e probabilmente "chiede troppo" alla Corte UE.

 

Il Tribunale penale di Rieti, con ordinanza del 4 maggio 2021, ha sollevato domanda di pronuncia pregiudiziale della Corte di Giustizia dell’Unione europea in relazione ai conseguenti dubbi applicativi della sentenza 2 marzo 2021, nella causa C 746/18, emessa dalla stessa Corte in materia di acquisizione dei tabulati telefonici e individuazione dell’organo competente ad autorizzare tali operazioni.
Nella citata sentenza infatti la CGUE aveva dichiarato in contrasto con il diritto dell’Unione europea la normativa estone in quanto, al pari di quella italiana, permette la conservazione generalizzata e indifferenziata dei dati relativi al traffico telefonico e informatico, nonché dei dati relativi all’ubicazione, e la necessità che l’acquisizione di tali dati sia autorizzata da un’autorità indipendente o di un giudice terzo e imparziale.
 
I principi espressi dalla Corte di Giustizia stanno dando origine a una serie “contrasti interpretativi” che si ripercuotono in prima battuta sui procedimenti in corso.
«Ritiene il Giudice remittente che alla luce dei profili di “criticità applicativa” dei princìpi elaborati dalla CGUE nella sentenza del 2 marzo 2021», si legge nell’ordinanza, «tali principi non possano costituire presupposto per una diretta disapplicazione della normativa nazionale in ipotesi contrastante: ma debba essere sollecitato un espresso chiarimento da parte del Giudice Europeo in punto di efficacia della predetta sentenza interpretativa, in primo luogo valutando la possibilità di ritenere che il P.M. per come disegnato dall’ordinamento italiano offra sufficienti garanzie di giurisdizionalità, per continuare ad essere titolare in proprio di tale potere di acquisizione, considerando anche il vaglio
comunque rimesso ex post al giudice che deve emettere la decisione; ovvero di modulare gli effetti della sentenza in chiave irretroattiva, al fine di non pregiudicare fondamentali esigenze di certezza del diritto e “certezza investigativa”, limitatamente ai giudizi tuttora pendenti, in chiave di prevenzione e repressione di gravi reati, nell’ottica anche di consentire un possibile e auspicabile intervento del legislatore nazionale in materia senza che si realizzino ingiustificate disparità di trattamento con altri istituti della legislazione nazionale, ad esempio in tema di intercettazioni telefoniche».
 
Sono dunque sottoposte alla Corte di giustizia dell'Unione europea le seguenti questioni pregiudiziali:
 
1) se l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58, letto alla luce degli articoli 7, 8 e 11 nonché dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta di Nizza, in forza anche dei princìpi stabiliti dalla stessa CGUE nella sentenza del 2 marzo 2021 nella causa C13 746/18, debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, prevista dall’art. 132, comma 3 del decreto legislativo n. 196/2003, la quale renda il pubblico ministero, organo dotato di piene e totali garanzie di indipendenza e autonomia come previsto dalle norme del Titolo IV della Costituzione italiana, competente a disporre, mediante decreto motivato, l’acquisizione dei dati relativi al traffico e dei dati relativi all’ubicazione ai fini di un’istruttoria penale.
 
2) Nel caso in cui alla prima domanda sia data risposta negativa, se sia possibile fornire ulteriori chiarimenti interpretativi riguardanti una eventuale applicazione irretroattiva dei princìpi stabiliti nella sentenza del 2 marzo 2021, causa C-746/18, tenuto conto delle preminenti esigenze di certezza del diritto nell’ambito della prevenzione, accertamento e contrasto di gravi forme di criminalità o minacce alla sicurezza;
 
3) Se l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58, letto alla luce degli articoli 7, 8 e 11 nonché dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta di Nizza, in forza anche dei princìpi stabiliti dalla stessa CGUE nella sentenza del 2 marzo 2021 nella causa C-746/18, debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, prevista dall’art. 132, comma 3 del decreto legislativo n. 196/2003, letto alla luce dell’art. 267, comma 2, Codice di procedura penale, la quale consenta al Pubblico Ministero, in casi di urgenza, l’immediata acquisizione dei dati del traffico telefonico con successivo vaglio e controllo del Giudice procedente.

lunedì, marzo 08, 2021

La Corte di giustizia interviene sulla acquisibilità dei tabulati. O della privacy presa sul serio.

 

La Corte di giustizia interviene sulla acquisibilità dei tabulati. 

O della privacy presa sul serio.

 

Lo scorso 2 marzo la Corte di giustizia dell’Unione europea nella sua massima composizione (Grande camera), in causa C-746/18, ha emesso una sentenza dal sicuro impatto anche per il diritto interno e nel caso di specie per il processo penale.

Chiamata a pronunciarsi sulla base di un rinvio pregiudiziale della Corte suprema estone la Corte di giustizia ha ribadito la sua precedente giurisprudenza chiarendola per quanto riguarda gli effetti anche nell’ambito del processo penale.

La questione è relativa possibilità di acquisire nel processo penale tabulati relativi a dati idonei a fornire informazioni sulle comunicazioni effettuate da un utente o sulla ubicazione delle apparecchiature terminali utilizzate allorquando tali informazioni consentano anche di trarre precise conclusioni sulla vita privata senza che tale possibilità sia circoscritta a forme gravi di criminalità.

Di conseguenza si pone un limite oggettivo alla acquisibilità di tabulati relativi a comunicazioni elettroniche e si provvede inoltre a individuare anche un limite soggettivo quanto alla autorità alla quale un tale accesso alle informazioni è consentito.

Secondo la Corte “L’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche (direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche), come modificata dalla direttiva 2009/136/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009, letto alla luce degli articoli 7, 8 e 11 nonché dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale, la quale consenta l’accesso di autorità pubbliche ad un insieme di dati relativi al traffico o di dati relativi all’ubicazione, idonei a fornire informazioni sulle comunicazioni effettuate da un utente di un mezzo di comunicazione elettronica o sull’ubicazione delle apparecchiature terminali da costui utilizzate e a permettere di trarre precise conclusioni sulla sua vita privata, per finalità di prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento di reati, senza che tale accesso sia circoscritto a procedure aventi per scopo la lotta contro le forme gravi di criminalità o la prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica, e ciò indipendentemente dalla durata del periodo per il quale l’accesso ai dati suddetti viene richiesto, nonché dalla quantità o dalla natura dei dati disponibili per tale periodo.

Ma non solo. La Corte ha modo di pronunciarsi anche su quale sia l’Autorità nazionale che possa autorizzare l’accesso alle banche dati dei gestori del traffico telefonico ed elettronico in senso lato; secondo la Corte:

L’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58, come modificata dalla direttiva 2009/136, letto alla luce degli articoli 7, 8 e 11 nonché dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali, deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale, la quale renda il pubblico ministero, il cui compito è di dirigere il procedimento istruttorio penale e di esercitare, eventualmente, l’azione penale in un successivo procedimento, competente ad autorizzare l’accesso di un’autorità pubblica ai dati relativi al traffico e ai dati relativi all’ubicazione ai fini di un’istruttoria penale”.

 

Si impone a questo punto, e nonostante i ripetuti interventi della Cassazione che hanno inteso ritenere la disciplina italiana compatibile con il diritto UE, la revisione della disciplina italiana, ponendosi al contempo un serio problema quanto alla utilizzabilità dei dati, acquisiti nei procedimenti penali d’iniziativa del Pubblico ministero per fatti diversi da condotte integranti forme gravi di criminalità o che determinino gravi minaccia alla sicurezza pubblica.