martedì, febbraio 07, 2012

Responsabuilità civile dei magistrati: la posizione delle Camere penali

La responsabilità dei magistrati, e quella del Parlamento.
Quanto accaduto in questi giorni, in particolare la vicenda relativa all’approvazione dell'emendamento Pini sulla responsabilità civile dei magistrati, merita una riflessione che va ben oltre la specifica vicenda.
Fin dal congresso di Palermo, e poi durante la discussione che seguì la presentazione del progetto di riforma costituzionale del Ministro Alfano, l'Unione delle Camere Penali ha sottolineato la necessità di modificare l’attuale normativa, per la centralità che la questione riveste rispetto al modello giudiziario che si vuole adottare, invitando a farlo senza cedere a facili demagogie.
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Il fallimento della attuale legge sulla responsabilità civile dei magistrati è testimoniato inequivocabilmente dai numeri (solo 400 casi hanno superato il filtro di ammissibilità e solo 4 sono state le condanne in ventiquattro anni), e la sua inadeguatezza è già certificata anche in sede europea da due specifiche pronunce della Corte di Giustizia. Tutto questo avrebbe dovuto imporre un intervento organico di riforma da almeno quindici anni.
Un intervento che dovrebbe essere fondato essenzialmente sull’abolizione della valutazione preliminare di ammissibilità, sulla definizione più ampia delle ipotesi di colpa grave, sulla modifica della così detta clausola di salvaguardia, estendendo le cause di responsabilità anche ai casi di gravissima negligenza professionale dei magistrati nell'attività di applicazione delle norme
Non occorre essere dei giuristi per comprendere, infatti, che spedire in prigione per omonimia la persona sbagliata non può essere escluso dalle ipotesi di responsabilità del magistrato, come oggi avviene; così come appare del tutto irreale che un avvocato sia responsabile nel caso in cui ignori completamente l'esistenza di una determinata legge ed il magistrato no.
Su questo pende in Parlamento una specifica proposta, elaborata dalla Camera Penale di Roma e fatta propria dall'Unione, che, come molte altre cose serie, il Parlamento ha omesso di esaminare nel corso della legislatura in corso.
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Che la delicata materia abbisogni di riflessione approfondita e di un intervento sistematico e non di incursioni mal formulate tecnicamente, è fuori discussione, posto che la stessa coinvolge beni primari della giurisdizione, come l’autonomia, l’indipendenza e la libertà morale del singolo magistrato, da un lato, ed il rapporto tra il cittadino e lo Stato, da un altro.
Proprio per tale motivo, anche con una punta di polemica, in dicembre chiedemmo al Governo Monti, così saldamente ancorato ai principi europei, di non lasciare in balia di se stessa la questione ma di farsi promotore di un’iniziativa "organica".
Oggi vediamo che, all’indomani dell’inattesa approvazione dell'emendamento Pini, è lo stesso Ministro di Giustizia a far sue quelle parole, chiedendo al contempo, implicitamente, che la Camera cancelli la norma appena approvata in Senato.
Ora, se si può convenire con la richiesta di modificare la norma così come licenziata dal Senato, eliminando la responsabilità diretta e precisando quella relativa ad inescusabili errori di diritto, ciò può essere fatto apportando alla Camera le correzioni che si ritengono opportune, mentre la richiesta di esaminare un provvedimento alternativo può essere credibile unicamente depositando contestualmente un disegno di legge ed assegnando allo stesso una corsia preferenziale, altrimenti essa finisce per apparire solo l’ennesimo gesto di favore che il nuovo esecutivo compie nei confronti della magistratura.
Il che, per quanto accaduto in questi giorni, assumerebbe il significato di una vera e propria sottomissione nei confronti della magistratura e del suo sindacato che hanno reiterato comportamenti indirizzati a delegittimare la funzione legislativa.
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Non può essere sottaciuto, infatti, che le espressioni rivolte al Parlamento da singoli magistrati e dai rappresentanti sindacali dell’ANM hanno rappresentato plasticamente la pretesa da parte del "terzo potere" di rivendicare una vera e propria esclusiva sulle leggi che lo riguardano. Oltre agli strali lanciati nei confronti dell'intera classe politica, e persino nei confronti del Governo che pure aveva avversato l’emendamento, con espressioni ai limiti del dileggio, si sono registrate vere e proprie intimazioni a cancellare non solo la legge approvata dal Senato ma, sostanzialmente, il tema dalla agenda politica.
Ebbene questo è un comportamento grave, che si registra ogni qual volta le iniziative politiche tentano di modificare le norme che coinvolgono a vario titolo la magistratura: è successo ai tempi della commissione De Mita, poi di nuovo durante i lavori della commissione bicamerale presieduta da D'Alema, ancora nel corso dell'iter della riforma Castelli, infine al momento della presentazione del disegno di riforma costituzionale Alfano.
In tutti questi casi la magistratura, associata e non, ha "diffidato" il Parlamento dall’esercitare le sue prerogative e lo ha fatto in varie forme, di cui è rimasta traccia, perlomeno all'epoca della cosiddetta "bozza Boato", anche agli atti parlamentari, che sono andate ben al di la' del diritto di critica.
Ora che la cosa si è ripetuta, ed anche in forme sovente del tutto irrispettose persino del minimo galateo istituzionale, non è possibile che il Governo, la classe politica e le istituzioni non levino il proprio monito a difesa non già di una singola legge, che ovviamente può anche essere profondamente discussa, o avversata, o criticata, ma della complessiva funzione parlamentare.
Dai magistrati si deve pretendere rispetto della funzione legislativa, non attendere un placet su ogni cosa, come paiono intendere molti rappresentanti politici che hanno appaltato il pensiero sui problemi della giustizia all'ANM e che sono subito corsi in soccorso di una pretesa egemonica che capovolge ed annulla l’architettura costituzionale.
Per molto tempo si è detto, polemicamente, che la tracimazione istituzionale del CSM aveva trasformato questo organo nella "terza Camera". Pian piano anche questo paradosso è stato superato, in peggio, da una realtà in cui sono i singoli magistrati, magari dagli scranni di qualche Procura, ad operare interventi ed invettive tutte politiche, finanche direttamente dal palco di un vero e proprio comizio: prassi criticata persino dallo stesso CSM, seppur con l’esile censura di inopportunità.
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In questo contesto sarebbe anche ora che, abbandonata una subalternità figlia prima di tutto di una sconcertante mancanza di conoscenza tecnica, anche la maggioranza della stampa italiana tentasse di informare sui temi della giustizia in maniera approfondita e non partigiana.
Sul tema della responsabilità civile dei magistrati, infatti, si sono udite e lette in prevalenza cronache semplicemente disinformanti, spesso infarcite di esempi tecnicamente aberranti e fuori luogo, tratti dalle veline della propaganda dei cultori della repubblica dei giudici, senza alcun approfondimento e senza alcuna verifica.
Un conformismo singolare ed un appiattimento totale alle tesi dell’ANM più simili alla disinformatja che non al ruolo di controllore del Potere, di ogni Potere, che dovrebbe essere proprio della stampa in un Paese liberale.
La Giunta                                                                                                        Roma, 5 febbraio 2012
       

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