lunedì, ottobre 30, 2006

Il MAE alla Consulta

Arriva alla Consulta la questione di legittimità della legge italiana relativa al Mandato di Arresto Europeo.
Il problema applicativo della norma interna era stato evidenziato, quest'estate, anche dalla Corte di Cassazione.

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La Corte di Cassazione ed i limiti del MAE

Amedeo Barletta

Importante pronunzia della Cassazione sull’applicazione della legge interna di recepimento del Mandato d’arresto europeo (Cass., sez. VI, n. 16542, dep. 15 maggio 2006).
La sesta sezione della Suprema Corte è stata chiamata ad affrontare una questione sulla base di quanto già deciso dalla Corte di Appello di Venezia, addivenendo all’annullamento senza rinvio della decisione della Corte territoriale che aveva fatto applicazione della richiesta di custodia cautelare formulata dal giudice istruttore del Tribunale di Charleroi, Belgio.
Si tratta di sentenza di sicuro interesse in quanto la Cassazione, nel pronunciare la propria sentenza, ha ricapitolato la vicenda applicativa del mandato di arresto europeo compendiando la giurisprudenza come allo stato consolidatasi. Si è invece occupata in prima applicazione di una delle cause di rifiuto della consegna inserite dal legislatore italiano ma non previste nella decisione quadro della UE. Ci riferiamo, per essere precisi, al motivo di rifiuto previsto dall’art. 18 let. e) che prevede il diniego della consegna:
“se la legislazione dello Stato membro di emissione non prevede i limiti massimi della carcerazione preventiva”.
Tale clausola veniva inserita nel testo di adeguamento dell’ordinamento interno alla decisione quadro quale diretta derivazione di una previsione costituzionale, precisamente l’ultimo comma dell’art. 13 secondo il quale:
“la legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva”,
interpretato generalmente come previsione di una guarentigia relativamente alla previsione legale di un termine massimo di custodia cautelare.
Tale previsione è astrattamente in grado di mettere in crisi l’effettività stessa del nuovo strumento introdotto con la decisione quadro del giugno 2002, almeno per quanto riguarda le richieste relative a provvedimenti cautelari.
Sono infatti numerosi i sistemi processuali che ignorano la garanzia consistente nella previsione di termini massimi di custodia cautelare.
La stessa sentenza ricorda come sia abbastanza frequente in Europa imbattersi in modelli, come quello anglosassone, che non prevedono tali termini, anche in ossequio a regole processuali che non contemplano la possibilità di un processo in contumacia prevedendo al più come diritto della parte l’istituto a noi ignoto del bail.
Tra questi ordinamenti che non prevedono termini massimi di durata della custodia cautelare vi è anche il Belgio, quantomeno per i reati che prevedono una pena nel minimo di almeno un anno. E’ il caso del delitto di escroquerie (truffa) contestato nel caso che ci occupa.
Tale limitazione imposta al funzionamento del mandato di arresto europeo è poi sconosciuta al meccanismo estradizionale classico, producendosi in questo modo un regime pur dovendo essere “semplificato” diviene più gravoso e limitativo nel caso di cooperazione tra paesi appartenenti alla Spazio giudiziario europeo. La norma prevista dall’art. 18 let. e) propone dunque una situazione chiaramente schizofrenica ed almeno apparentemente irragionevole di aggraviamento della procedura “semplificata” di estradizione costituita dal mandato di arresto europeo.
Va inoltre ricordato che quella contemplata dalla Costituzione italiana - e ripresa dalla legge di implementazione interna del mandato di arresto europeo - è garanzia non prevista nemmeno dalle carte dei diritti fondamentali, la CEDU tra queste, la quale solo prevede all’art. 5:
“1. Ogni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza. Nessuno può essere privato della libertà, salvo che nei casi seguenti e nei modi prescritti dalla legge:
[…]
c. se è stato arrestato o detenuto per essere tradotto dinanzi all'autorità giudiziaria competente, quando vi sono ragioni plausibili per sospettare che egli abbia commesso un reato o vi sono motivi fondati per ritenere che sia necessario impedirgli di commettere un reato o di fuggire dopo averlo commesso;
[…]
3. Ogni persona arrestata o detenuta, conformemente alle condizioni previste dal paragrafo 1 (c) del presente articolo, deve essere tradotta al più presto dinanzi ad un giudice o ad un altro magistrato autorizzato dalla legge ad esercitare funzioni giudiziarie e ha diritto di essere giudicata entro un termine ragionevole o di essere messa in libertà durante la procedura. La scarcerazione può essere subordinata ad una garanzia che assicuri la comparizione della persona all'udienza”.
Non v’è nulla dunque con riguardo alla durata massima della misura cautelare ma solo la garanzia di un processo celere e dunque di una detenzione cautelare che segua le sorti del processo, che sia dunque celere; ove tale celerità non dovesse essere garantita viene previsto un non meglio specificato diritto alla liberazione.
Su tale standard si è pronunciata più volte la stessa Corte di Strasburgo considerando ben più che sufficiente una revisione periodica e costante della situazione di detenzione e della perduranza delle condizioni che tale situazione abilitano .
E’ questo un sistema che appare più adeguato a sistemi processuali che non conoscono il giudizio in absentia ma che non sembra essere meno capace di garantire i diritti dell’imputato che sono del resto pienamente rispettati solo da un sistema processuale capace di essere celere e non cronicamente in ritardo come quello italiano, ove la previsione di tempi massimi di custodia cautelare gioca una funzione centrale forse anche solo per questa tipica e deficitaria lentezza del nostro processo.
Il punto è dunque assai critico e necessita di una seria rimeditazione che ove non operata è in grado di mettere a rischio la macchina predisposta dal MAE e rendere il nostro paese un porto sicuro per criminali in attesa di giudizio che vogliono sfuggire al carcere e per questa via, sovente, allo stesso processo penale.
Dove la decisione appare meno convincente è nell’escludere la possibilità e l’opportunità di un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia o alla stessa Corte costituzionale per conoscere della compatibilità della normativa nazionale con la previsione dettata dal diritto dell’Unione Europea. Tale rinvio avrebbe infatti quanto meno permesso di conoscere in merito alla corretta interpretazione della decisione quadro ed al vincolo costituzionale che questa è capace di imporre sulla normativa interna di attuazione. In questo modo si sarebbe potuta produrre un’interpretazione costituzionalmente orientata della Corte Costituzionale o una pronunzia di incostituzionalità (sub specie di ragionevolezza?) capace di fornire il legislatore di linee guida adeguate all’intervento riformatore che appare allo stato opportuno se non necessario e ciò non tanto nell’ottica di un depotenziamento delle garanzie previste dall’ordinamento italiano semmai in misura più estesa (quantomeno da un punto di vista meramente formalistico), ma soprattutto con riguardo ad una corretta ricostruzione dei rapporti tra i due livelli normativi e circa il grado di autonomia in materia del legislatore italiano. Si tratta di utilizzare sino in fondo gli strumenti di controllo dell’adeguatezza del diritto interno al diritto europeo di cui il rinvio pregiudiziale rappresenta il principale e più funzionale strumento.
La questione potrebbe altresì essere risolta in sede interpretativa riprendendo un insegnamento della Corte di Strasburgo che considera come termine massimo della carcerazione preventiva la durata del procedimento penale di primo grado, ove ragionevole, considerando la detenzione successiva come fondata sulla decisione di colpevolezza assunta nel corso del procedimento .
Questa interpretazione fatta propria dalla Corte europea dei diritti dell’uomo rappresenta uno standard comune per tutti i paesi membri della Convenzione che non prevedono termini massimi di custodia cautelare e potrebbe essere recepita da un intervento interpretativo della nostra Corte costituzionale capace dunque di adeguare per via interpretativa il dettato della legge 69/2005 alle previsioni ed ad una corretta interpretazione della decisione quadro, sventando il pericolo di un suo svuotamento per quanto riguarda la possibilità che questa venga applicata in Italia anche alle richieste di arresto basate su provvedimenti cautelari.

1 commento:

edil aguilar ha detto...

me parece bien el color te invito a ver www-edil-aguilar.blogspot.com